Che cosa significa mettere il dito nel segno dei chiodi e mettere la mano nel fianco di Gesù? Questo vorrebbe fare Tommaso, l’apostolo assente a Pasqua, quando il Risorto si rende presente alla comunità dei discepoli chiusa in casa per timore dei Giudei. Tommaso era fuori, quella sera. Forse Tommaso non aveva timore, non si era rintanato come gli altri. Forse era talmente sconfortato da restarsene da solo. Non c’era, e ora fa l’affermazione più importante, quella che paradossalmente unisce tutti i nostri giorni alla Pasqua del Signore. È vero, essa termina con un «io non credo», che sembra una smentita della fede. Ma è un’apparenza. Tommaso, per credere vuole vedere, vuole toccare, vuole mettere il dito nel segno dei chiodi e la mano nel fianco. Gli altri discepoli credettero, anch’essi, vedendo. Tommaso avrebbe potuto essere il primo dei credenti che non hanno visto, il primo di quella schiera di beati che non hanno visto e hanno creduto. Invece egli vuole far parte pienamente del gruppo dei testimoni autorevoli su cui si basa la nostra fede cristiana e, con quella sua richiesta, aggiunge un tassello importante al mosaico della fede. Quello che egli domanda a Gesù è ciò che noi non facciamo più o compiamo distrattamente senza più accorgerci della grandezza del dono che ci viene fatto. Quei due gesti – che poi Tommaso sembra non compiere effettivamente, quando Gesù lo invita a farli – sono il sostrato della nostra fede, ne sono l’essenziale.
Mettere il dito nel segno dei chiodi significa toccare con mano la Croce di Cristo che viene continuamente innalzata attorno a noi, magari anche dentro di noi. Il mondo del dolore e della sofferenza sono realtà da toccare, da cui lasciarsi interrogare senza quel pudore e quella distanza che caratterizzano spesso anche la nostra solidarietà un po’ troppo filantropica e un po’ troppo poco cristiana. C’è un modo di porsi di fronte al dolore dell’altro, alla sua sofferenza o al suo bisogno di aiuto, che è fatto di una solidarietà quasi sterilizzata, tenuta a debita distanza, salvaguardata da un coinvolgimento troppo diretto, e che non giunge quasi mai alla condivisione vera e propria. Mettere il dito nel segno dei chiodi significa, invece, toccare una croce non mia e farla diventare mia; significa usare il Cristo Crocifisso come motivo unico e unificante di ogni compassione, di ogni misericordia. In questa seconda domenica di Pasqua, Giovanni Paolo II ha voluto che la Chiesa celebrasse la divina misericordia. Questa qualità dell’amore di Dio dice la sua ferma volontà di non fermarsi di fronte alle nostre miserie, anzi di volerle prendere nel suo Cuore infinitamente amante. A immagine di questa misericordia divina, immenso polmone che ci fa respirare, deve essere la nostra misericordia umana, capace di farci mettere il dito nel segno dei chiodi dei crocifissi che entrano, a porte chiuse, nella dimora del nostro cuore. Chiediamo il dono della misericordia divina verso di noi, e chiediamo ci sia data in dono la misericordia umana per viverla quotidianamente nei confronti del prossimo.
Mettere la mano nel fianco di Gesù è azione di cui si coglie la portata solo ricordando che da quel fianco squarciato dalla lancia sono usciti acqua e sangue, simbolo dei sacramenti della nostra salvezza, il Battesimo e l’Eucaristia. Dobbiamo continuamente mettere mano a questi santi segni che la Chiesa ci dona. Non possiamo immaginarci una fede forte, se non mettiamo la mano nel fianco da cui questa Chiesa è scaturita, se non attingiamo al dono dell’Eucaristia, se non indossiamo la veste del nostro Battesimo. Assistiamo oggi ad una cristianità disfatta, molle, preoccupata dei fronzoli, immiserita in mille rigagnoli. Manca la convinzione che nasce dall’unico Dono, manca l’umiltà di tornare alla fonte dell’Eucaristia, all’ascolto della Parola e allo spezzare il pane insieme. Prevalgono i viottoli, si è smarrita la Via. «La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola… fra loro tutto era comune». Così descrive la primitiva comunità cristiana il libro degli Atti. Non vuole essere un quadretto incantato. Si vuol suggerire l’essenziale. Si vuole evocare quel gesto di Tommaso, dentro il fianco di Cristo. Quel Tommaso, che otto giorni dopo c’era, a celebrare l’Eucaristia.
Grazie don Agostino,di ricordarci la concretezza della fede di S. tommaso,il suo coraggio di cercare i segni della passione sul corpo del Risorto.
La passione del Signore non è un incidente di percorso da cancellare al più presto,in quei segni sono raccolte ,custodite e trasfigurate anche tutte le nostre umane sofferenze,le lacrime e le ferite di tanta umanità dolente…
Come discepoli del Signore occorre che riconosciamo il dolore che ci circonda come ferite sul corpo del risorto lasciandoci mettere in discussione .