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Il libro di Natale di quest’anno ha al centro la figura del dormiglione. Statuina del presepe e icona dell’uomo dei nostri tempi, dell’uomo «addormentato» più che dell’uomo dormiente. Fin da bambino ho sempre voluto mettere una seconda grotta nel presepe, quella del dormiglione. In quella luminosa, grande e vero centro del presepe, stava Gesù. In quella più piccola e buia, periferica, stava lui, quest’uomo totalmente diverso da tutte le altre statuine, freneticamente dirette verso il centro, verso Gesù Bambino. Perché mi affascinava questo uomo immobile e disinteressato a ciò che invece interessava a tutti gli altri? Non lo so. I bambini talvolta hanno un modo di appassionarsi a qualcosa che non si spiega con le spiegazioni degli adulti. Ma, poi, quando si diventa grandi, quel ricordo dell’infanzia riaffiora, e allora si capisce perché il dormiglione nel presepe doveva sempre esserci e avere, proprio lui, un posto così importante. Il dormiglione è indubbiamente – forse lo è sempre stato – un paradigma di vita. Dormire di notte si può, se si dorme di giorno. Non darsi troppo da fare, pensare il minimo indispensabile, essere il meno spigolosi possibile, non inseguire nessun ideale in modo veramente serio, questo è l’unico modo per dormire placidamente di notte. Il dormiglione sulla scena del presepe deve essere uno così, non semplicemente uno che quella notte, per sbaglio o per caso, dormiva. Deve essere uno che ha ricevuto l’annuncio angelico come gli altri pastori, eppure ha deciso di non andare senza indugio, ma di dormire senza indugio… Uno che credeva di poterne stare fuori, di non essere tra i destinatari di quella grande gioia di tutto il popolo.
Nel mio libro Novena del presepe – dove, tra i nove personaggi che hanno trovato il loro Autore c’era anche il dormiglione – egli nel suo monologo tra l’altro confessa così: «Sei ancora più Salvatore, se sei venuto sulla terra anche per me, che dormo il sonno della mia distrazione, il sonno dell’indifferenza».
La finzione scenica e letteraria del libro è tutta incentrata sul Fatto di Natale che raggiunge il dormiente nell’unico modo in cui può essere raggiunto, il sogno. Dio ama parlare nel sogno. Ne sa qualcosa Giuseppe, che, in sogno, riceve gli annunci più importanti: la sua «annunciazione», quella che gli chiede di prendere Maria con sé, avviene in sogno, e anche la fuga in Egitto e il ritorno a Nazaret sono dettati dall’angelo nel sonno. Il sogno, lungo tutta la Bibbia, è luogo di rivelazione profonda di Dio, sottratto al controllo di una ragione troppo calcolatrice ed egoista. Si legge nel libro di Giobbe: «Dio può parlare in un modo o in un altro, ma non vi si presta attenzione. Nel sogno, nella visione notturna, quando cade il torpore sugli uomini, nel sonno sul giaciglio, allora apre l’orecchio degli uomini» (Gb 33,14-16). Talvolta i sogni sono profetici, hanno cioè qualcosa da dire sul presente e sul futuro, e proprio per questo si presentano come oscuri e hanno bisogno di un’interpretazione affidata alla sapienza ispirata di alcuni personaggi.
Il dormiglione in quella notte centrale della storia, in cui il Fatto viene ad abitare in mezzo a noi, fa misteriosamente quattro sogni. Il primo lo fa partecipare all’evento di Betlemme, ed è come se il dormiglione, pur avendo deciso di starsene a dormire invece di andare a Betlemme come gli altri pastori, sia reso misteriosamente presente dello stesso stupore natalizio che investe i primi adoratori di Gesù. Negli altri tre sogni, il lettore non farà fatica a scorgere altrettanti momenti della vita di Gesù narrati dai Vangeli: l’episodio del cosiddetto giovane ricco, l’incontro del Risorto con Maria di Magdala, la pesca miracolosa che prelude alla seconda chiamata di Pietro. Tutto, però, ruota attorno ad una misteriosa vocazione del pastore dormiente, coinvolto in quegli episodi, presente appunto come in sogno, chiamato a diventare «pescatore di uomini».
Ecco apparire il sapiente che interpreta i quattro sogni con quattro messaggi. È il vecchio Simeone, abitatore tenace del tempio, icona della vera attesa. Egli trasforma i sogni notturni in sogni diurni, rompendo quel legame di sonno che unisce il giorno alla notte e che caratterizza chi è «addormentato» nel senso in cui lo intende Gesù nella parabola che abbiamo ascoltato all’inizio. Il dormiglione era uno che dormiva di notte perché dormiva di giorno. Ora che di giorno pensa, la vita non funziona più come anestetico e fatica a dormire anche di notte. Simeone interpreta i suoi sogni, ma in un modo totalmente creativo. Non svela i particolari, non detta regolette da eseguire, ma disvela il quadro, regala un respiro nuovo alla vita. Offre quattro messaggi e rivela quattro parole chiave che mettono il dormiglione, già pentito, nella condizione di cambiare vita.
Le parole sono: bellezza, gioia, desiderio, speranza.
Parole cristiane che i cristiani, purtroppo, hanno smarrito.
Traccia per un itinerario di vita e non un libretto di istruzioni.
Apro una parentesi e vi faccio una confidenza. Sottovoce, con grande rispetto e con la possibilità che qualcuno mi smentisca e mi corregga. Ho la sensazione che la Chiesa – quella società di pescatori di uomini che il Signore Gesù ha fondato lungo il mare di Galilea – confidi troppo in un armamentario logico e teologico, in una struttura sociale e giuridica, in una regolamentazione pragmatista e pastorale che hanno perso la fantasia creatrice della bellezza, della gioia, del desiderio, della speranza. I volti delle persone rischiano di svanire e diventare anelli di una catena, casi di un progetto. Non dico che non devono esserci approfondimento teologico, regole certe e programmi pastorali. Ma essi, nella Chiesa di Gesù, sono un servizio alla libertà dell’uomo, sono occasione per incontrarlo nella realtà non virtuale della vita quotidiana.
Torno al dormiglione pentito. Egli dice: «Bellezza, gioia, desiderio, speranza sono divenute la mia pace e, insieme, il mio assillo». La pace del cristiano è sempre un assillo, non è mai una pacificazione raggiunta, è sempre un subbuglio, perché Gesù non è venuto sulla terra a portare la pace come la dà il mondo, ma a portare il fuoco che arde, riscalda e consuma.
Il dormiglione pentito, dunque, non è diventato un sognatore incantato. Ha preso una decisione. E decidere è il modo migliore di attendere. Decidere – come dice la parola stessa – è operare un taglio, senza barcamenarsi troppo nei tentennamenti e senza svolazzare nelle buone intenzioni che non hanno i piedi per terra.
Il dormiglione pentito, alla fine – ma è solo l’inizio, in realtà, un po’ come il nostro Avvento – decide di mettersi in un posto della storia, in un posto della sua vita e di attendere, di ad tendere, di tendere verso il suo Destino.
Quest’uomo, che sa per esperienza che cosa significa aver dormito tanto nella vita, ha capito l’essenziale: è importante che il Signore, quando verrà, non ci trovi addormentati.
Vedi la recensione sul quotidiano “La Provincia di Como”: La Provincia 01
Vedi la recensione sul quotidiano “Corriere di Como”: Corriere 01
E’ possibile richiedere il libro al prezzo di euro 5,00 (sconto per più copie) all’autore: ago.cle@libero.it
Vedi anche le altre pubblicazioni qui.
Complimenti, trovo tutto molto, molto interessante. Sono rimasto affascinato dalla descrizione profonda del “Dormiglione”.
M.C.
Finalmente buone notizie di speranza e non di condanna per I “dormiglioni”!!!