
AGOSTINO CLERICI (a cura di), La nostra porta è la fede. Un percorso con i Padri della Chiesa, Paoline, pagine 160, euro 10,00.
E’ in libreria, curata da don Agostino Clerici, un’antologia di testi dei Padri sul tema della fede. Proponiamo qui l’introduzione.
Il percorso che viene qui proposto è solo uno dei possibili itinerari nella ricca letteratura patristica sul tema delle fede, e sfrutta soltanto una delle vene aurifere presenti nelle profondità della miniera cristiana. Del resto, ogni pagina dei Padri trasuda la fede, e non sarebbe possibile altrimenti.
Per l’esordio di questa antologia patristica ci siamo lasciati influenzare dall’immagine che Benedetto XVI ha scelto per intitolare la sua lettera apostolica di indizione dell’Anno della fede, la porta. La fede, dunque, come un uscio, che si apre per entrare e per uscire: è proprio una bella icona per la fede, chiamata a dare profondità alla ragione umana e, insieme, a dare sapore a tutta quanta la realtà.
Due immensi bacini che abbiamo soltanto sfiorato sono quelli della letteratura del martirio – che ci offre numerosi esempi viventi di fede professata e testimoniata sino al dono estremo della vita – e della omiletica sul Simbolo – costituita da altrettanto numerosi sermoni predicati a spiegazione del Credo, quel testo breve che condensa il contenuto dogmatico della fede – e ci siamo, invece, concentrati sull’atto della fede, che, sin dai primi anni della storia cristiana, accetta il rischio di entrare nel mondo greco-romano con il suo spessore di ragionevole «irrazionalità».
Ecco, allora, dipanarsi le tappe di questo itinerario. Dapprima, la difesa della fede-fiducia come strumento di conoscenza umana, una fede per così dire naturale e connaturale a ogni uomo, anche a chi dovesse proclamare di volerne fare a meno. Poi, il confronto con il patrimonio filosofico della cultura cosiddetta pagana, in una sorta di incontro-scontro, di cui cercheremo di vedere le posizioni estreme e la loro paradossale armonia entro il pluralismo di voci prodotto dalla libertà cristiana. Infine, la sintesi proposta dai Padri entro una formula che tiene in feconda simbiosi la fede e la ragione: «Credere per comprendere, comprendere per credere» (crede ut intelligas, intellige ut credas). Potremmo vedere in queste tre tappe l’atto di «entrare» attraverso la porta della fede.
Questo triplice approfondimento sul piano più teoretico della fede s’apre poi a ulteriori tre tappe, che meglio tratteggiamo l’atto di «uscire» passando per la medesima porta della fede, quella fede che ha arricchito l’uomo per renderlo testimone e non solo sapiente.
Tappa fondamentale è quella sacramentale, segnata dall’itinerario di preparazione dei catecumeni alla celebrazione dei sacramenti del battesimo, della cresima e dell’eucaristia nella solenne veglia pasquale e dalla successiva ricca catechesi mistagogica, tesa a spiegare i misteri appena celebrati e ora da vivere.
Il secondo tema è quello del martirio, che viene affrontato non solo a partire dalla testimonianza di chi ha versato il sangue per la fede in Cristo, ma anche sul versante del cosiddetto «martirio quotidiano» che attraversa i secoli e che interessa l’epoca d’oro della patristica, dopo che l’impero sancì che l’essere cristiani era non solo permesso ma consigliato.
L’ultima tappa – anch’essa necessariamente esemplificativa – riguarda la predicazione dei Padri, capace di leggere la Scrittura, e i Vangeli in particolare, scoprendo personaggi, immagini, parabole come altrettante occasioni utili ad elaborare una parenesi della fede.
La lettura di questi testi, che vengono dai primi secoli dell’era cristiana, continua a regalare spunti di meditazione anche al cristiano del terzo millennio. A noi il mondo sembra invecchiato, ma la stessa sensazione l’avevano già gli antichi e – ce lo ricorda Cipriano – qualcuno osava incolpare di questo la nuova fede portata dai cristiani. La descrizione dei presagi di un mondo che starebbe per finire è suggestiva, e assomiglia alle nostre rampogne per le stagioni non più fedeli al loro ruolo o per il mondo che va perdendo la rettitudine di un tempo.
Vale la pena leggere la pagina che Cipriano, a metà del terzo secolo, scriveva al pagano Demetriano (che accusava i cristiani di essere i responsabili dell’invecchiamento del mondo): «È il mondo stesso ormai che parla e testimonia il proprio tramonto, in quanto tutti i suoi elementi vacillano. Non ci sono più così tante piogge in inverno per nutrire le sementi, non c’è più il solito calore in estate per fare maturare i frutti, né la primavera sorride più del suo bel clima, né l’autunno è così fecondo dei prodotti degli alberi. In misura minore dalle montagne scavate e sfruttate sono estratte lastre di marmo, in misura minore le miniere, ormai esaurite, producono oro e argento, le vene impoverite si accorciano di giorno in giorno. Anche nei campi diminuiscono i contadini, in mare i marinai, nell’accampamento i soldati, nel foro l’onestà, nei processi la giustizia, nelle amicizie l’armonia, nelle arti l’abilità, nei costumi il rigore morale. Forse tu credi che un organismo che sta invecchiando possa sussistere tale quale era prima, quando era ancora nuovo, vigoroso e giovane? Di necessità si indebolisce qualsiasi essere che piega all’estremo tramonto, ormai prossimo alla fine. Così il sole al tramonto irradia i suoi raggi con minore splendore e minore calore; così la falce della luna calante si assottiglia fino a sparire, quando già declina il suo corso; l’albero che prima era stato fecondo e verdeggiante, quando i suoi rami si seccano, diviene sterile, deforme per la vecchiaia; la sorgente, che prima scorreva abbondantemente con gorgogliante corrente, se viene meno per vetustà, a malapena fa sgorgare poche gocce. Al mondo è stata data questa sentenza, questa è la legge di Dio: tutto ciò che è sorto tramonta, tutto ciò che è cresciuto invecchia, tutto ciò che è forte s’indebolisce, tutto ciò che è grande diminuisce e, dopo che è divenuto debole e piccolo, scompare e si estingue» (A Demetriano, 3).
Il vescovo di Cartagine, proprio facendo appello al sereno vigore della fede cristiana, rispondeva così a tale accusa: «In noi sono salde la forza della speranza e la fermezza della fede, e proprio in mezzo alle rovine del mondo che vacilla noi abbiamo uno spirito alacre, una virtù incrollabile, una pazienza sempre lieta e un’anima sempre sicura del suo Dio» (A Demetriano, 20).
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Il costo del libro è di euro 5,00. Uno sconto del 20% verrà applicato a partire dalle 10 copie.
Si può acquistare il libro a COMO, presso la Libreria Paoline, in Viale Cesare Battisti 8; a SONDRIO, presso la Libreria San Paolo, in via Giuseppe Piazzi 78; a MORBEGNO, presso la Libreria Piccolo Principe, in via Ezio Vanoni 59.
S’intitola così – «La porta della fede» – la lettera apostolica con cui Benedetto XVI ha indetto un Anno della fede (dall’11 ottobre 2012 al 24 novembre 2013) per ricordare il cinquantesimo anniversario dell’inizio del Concilio Vaticano II ed il ventesimo anniversario della promulgazione del Catechismo della Chiesa Cattolica. Nei tre capitoli di questo libro ho sviluppato la mia riflessione tenendo come punto di riferimento proprio la «porta della fede». Anzi, la porta, in modo tutto particolare, quella della nostra chiesa. L’apriamo ogni volta per entrare nella chiesa per la Messa, per entrare in quello spazio edificato proprio per garantire un luogo alla nostra preghiera e per dare una forma alla nostra comunione. Quando i cristiani cominciarono a pensare alla costruzione delle chiese per radunarsi nel giorno del Signore, avevano come modello l’edificio della basilica romana, luogo di incontri ed assemblee. Vi erano due absidi alle estremità e lo spazio interno era diviso in navate dalle colonne, mentre le porte stavano sui lati. I cristiani fecero un cambiamento importante per le loro basiliche: lasciarono una sola abside e al posto dell’altra che le stava di fronte aprirono la porta, abolendo quelle laterali. Si doveva capire che, entrando, ci si trovava di fronte al mistero di Dio, a quella mensa della Parola e del Pane attorno alla quale la comunità rafforzava la sua comunione. Ma era anche chiaro che quella porta era Lui. Un giorno Gesù lo aveva detto: «Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo» (Gv 10,7-8).
La fede, se ci pensiamo bene, è davvero una porta. Una porta per entrare, innanzitutto, e qui la mia riflessione ha affrontato due versanti importanti della fede cristiana, quello della conoscenza e quello della liturgia. Se la fede cristiana deve essere porta aperta per entrare nella verità piena della vita, bisogna intraprendere la fatica di conoscere i contenuti della fede cristiana. Benedetto XVI afferma che «la conoscenza dei contenuti di fede è essenziale per dare il proprio assenso, cioè per aderire pienamente con l’intelligenza e la volontà a quanto viene proposto dalla Chiesa» (Porta fidei, 10): in questo «anno della fede» egli ci invita, pertanto, ad approfondire gli articoli del Simbolo di fede, del Credo che recitiamo alla Messa domenicale, ma di cui spesso ci sfuggono i significati storici e teologici. Capita spesso che i cristiani siano interpellati dai problemi che assillano tutti gli uomini o che si trovino di fronte ai temi caldi del momento. Entrare per la porta della fede in questi temi offre un modo specifico di affrontarli e dà un particolare indirizzo di soluzione. La fede non è una porzione di realtà, ma è un modo di guardare tutta la realtà. A patto, però, che i cristiani nell’affrontare questi temi conoscano le coordinate di questo sguardo. Altrimenti agiscono secondo quel “buon senso” che talvolta non è… buono.
La fede professata deve essere conosciuta ma anche celebrata: «Senza la liturgia e i Sacramenti, la professione di fede non avrebbe efficacia, perché mancherebbe della grazia che sostiene la testimonianza dei cristiani» (Porta fidei, 11). La fede è come l’amore. Ha bisogno di alimentarsi in una conoscenza ma anche in una liturgia, in una ritualità: senza questo contatto celebrativo, anche la fede si spegne e perde il flusso ordinario della grazia di Dio.
Ma la fede è bene rappresentata anche dal momento in cui la porta si riapre per uscire: il fuori che è entrato dentro torna fuori, ma non è più lo stesso di prima, perché dentro, oltre la porta, c’è stato qualcosa che lo ha trasformato. La fede ci fa entrare in una visione del mondo, ma solo perché noi possiamo uscire nel mondo e applicare ad esso questa visione e testimoniare dentro di esso il Vangelo di Gesù Cristo. La catechesi e la liturgia sono, cioè, al servizio della testimonianza, altrimenti – direbbe l’apostolo Giacomo – «la fede, se non è seguita dalle opere, in se stessa è morta» (Gc 2,17). Due le immagini evangeliche che ci hanno accompagnato nella nostra riflessione: quella duplice del sale della terra e della luce del mondo, e quella del granello di senape. Il sale è il «poco» che dà sapore al tutto. Il minuscolo seme è qualcosa di piccolo e di apparentemente inefficace, eppure esso contiene la forza necessaria a far germogliare qualcosa di molto grande. Così è la fede cristiana, e questa logica di incarnazione è quella che ci deve guidare nella testimonianza della fede vera, che, non dimentichiamola, ha una ineludibile dimensione sociale: il mio granello di senape cade nel terreno in cui c’è anche il tuo, siamo fianco a fianco, entrambi piccolissimi, e siamo chiamati a marcire insieme. La fede non è un’avventura per solitari, è il cammino della comunione avventurosa dei cristiani.
Alle volte ho la sensazione che la vita sia la porta della fede. Quindi non un varco che potrebbe alludere ad una sorta di ascesi, ma un attraversare la vita con lo sguardo fisso su Gesu’, senza tradire quello che c’ispira il cuore. Mi sembra un simbolo molto forte perche’ racconta una conversione radicale che non passa dalla rinuncia ma dal perdono.