Provo vergogna!

“Ma lei, don Agostino; che ha sempre una parola precisa su tutto, che cosa ne pensa di questa storiaccia che ha investito la nostra Chiesa?”. Una mail diceva proprio così… Ma c’era chi semplicemente interrogava con lo sguardo e si aspettava una parola chiara. Ho atteso qualche giorno, in cui le parole hanno riempito il silenzio. Poi si sono come condensate in queste righe, perché il dolore ha bisogno di trovare la strada per essere detto…Stamattina il quotidiano Corriere di Como ha ospitato in prima pagina questo articolo, che ora offro con fermezza ed umiltà a tutti i fruitori del blog.

Talvolta a scrivere ci vuole coraggio. Non la pretesa di avere sempre una parola su tutto. Ma la fatica di una parola che nasce dal silenzio ed in silenzio non resta, però, per dare un contenuto all’imbarazzo di molti, per sorreggere la stizza che umanamente prende anche i cuori più propensi alla pace, e per indirizzare il rancore verso una riflessione e magari un progetto. La vicenda che la Chiesa di Como sta vivendo da una settimana a questa parte con l’arresto di mons. Marco Mangiacasale, 48 anni, economo della diocesi, per violenza sessuale continuata ai danni di una ragazza minorenne, mi ha lasciato allibito. Conosco don Marco da anni, ma proprio non lo riconosco in quanto gli si attribuisce nella denuncia presentata contro di lui e che egli sembra aver pienamente confermato con la sua confessione davanti al giudice. Non mi riconosco come uomo e come prete in una simile barbarie. Provo vergogna per un comportamento così meschino e disonorevole, anche se questa onta non mi scoraggia affatto nel mio lavoro pastorale di vicinanza ai ragazzi, agli adolescenti, ai giovani. Provo vergogna per quanto don Marco avrebbe compiuto in nome di chissà quale pulsione e approfittando del suo ruolo di “padre”, ma non ho alcun timore a continuare ad essere prete carico della mia umanità appassionata. Provo un grande imbarazzo, anche perché – inutile nasconderlo – don Marco non era l’ultimo prete della nostra diocesi, ma un sacerdote di cui il Vescovo aveva grande stima e fiducia, uno che ricopriva un incarico importante, uno che serviva la Chiesa comandando, uno che amministrava le Cresime nelle parrocchie proprio ad adolescenti di tredici o quattordici anni, come quelle ragazzine di cui avrebbe abusato. Sì, perché ora altre tre minorenni della stessa parrocchia si sono aggiunte nella medesima denuncia… e la vicenda s’aggrava ancora di più. C’è stato, subito dopo l’arresto, un comunicato della diocesi che annunciava le decisioni di trasparente fermezza da parte del Vescovo, c’è ora un editoriale con parole di circostanza sul Settimanale diocesano, ci saranno nelle prossime settimane iniziative di preghiera proposte ai sacerdoti. Tutto giusto, sacrosanto, eppure… oso aggiungere rispettosamente due precisazioni e una riflessione. 

Spendo una parola in più, pur nella doverosa discrezione, per le uniche vittime autentiche di questa vicenda: la ragazzina (o le ragazzine) e le loro famiglie. Il trauma di atti convulsi subiti da un adulto che ha usato malamente per anni del proprio potere psicologico e del proprio ruolo, rischia di essere un’eredità pesante per una ragazza che si spalanca alla maturità e che potrebbe andare incontro a sensi di colpa e a vere e proprie patologie depressive. Vogliamo preoccuparcene seriamente, stando con decisione dalla parte di Abele e non dalla parte di Caino? Anche la gerarchia delle citazioni e delle intenzioni di preghiera ha un suo significato di rispetto e di riconoscimento delle colpe: quando “preghiamo per…” al primo posto vi siano sempre le vittime della violenza e le loro famiglie e la comunità duramente provata da un comportamento così riprovevole. Non significa negare il perdono e la cura che il cristiano deve avere per tutti. Ma è caritas in veritate. Un segnale che parla da solo.

Spendo una frase per fare il nome di un altro prete, il quale per fortuna, con il suo comportamento coraggioso, su una ipotetica bilancia della dignità e della vergogna, riabilita la “categoria” dei preti. Don Roberto Pandolfi, 48 anni anche lui, parroco di San Giuliano, ha avuto il grande merito di far uscire dal silenzio e dall’omertà una situazione che aveva urgente bisogno di luce. Lo ha fatto rispettando la sua veste e salvaguardando la dignità sacramentale della Confessione, ma soprattutto rispondendo ad una esigenza di verità che tante volte, in un passato anche recente, veniva fagocitata da assurde difese dell’istituzione e dalla protezione delle persone sbagliate. Non intendo fare riferimento al caso specifico che riguarda don Mauro Stefanoni, la cui fattispecie è oggettivamente diversa e in cui l’imputato si professa innocente, nonostante due gradi di giudizio l’abbiano ritenuto colpevole. Ma quante volte dentro la Chiesa si è taciuto, procedendo a promozioni o a cambiamenti di destinazione, spostando semplicemente il problema in un altro luogo e calpestando i diritti delle parti lese? Ebbene, in questo caso no. Conosco don Roberto e mi riconosco in lui come uomo e come prete, e non ho timore a scriverlo, perché solo così difendo veramente la mia Chiesa.  

Indubbiamente, poi, bisogna trovare il coraggio di aprire gli occhi su una realtà di oggettiva difficoltà che mette a repentaglio, per così dire, l’umanità del prete nel contesto della società in cui la Chiesa è chiamata ad operare. Giovani disposti a diventare preti ve ne sono sempre di meno. Ma sono sempre di meno anche i giovani disposti a sposarsi. In crisi c’è il sacerdozio ministeriale, ma anche il matrimonio. Si dice talvolta che la scelta del celibato imposta a chi vuole diventare prete sia avvertita come una castrazione, quasi a suggerire che il prete sposato sarebbe immune da ogni problema. Ma come si spiega allora il disordine sessuale che tanti uomini sposati vivono fuori dal loro matrimonio? Come spesso accade, il problema non è lo stato di vita che si sceglie – e ognuno ha la sua fatica – ma l’educazione a viverlo nella piena ed armonica realizzazione della propria personalità sessuata e nella castità propria a quello stato di vita. Il prete deve essere un uomo, e per essere uomo deve essere maschio, un maschio che ama, che ama uomini e donne con l’amore e l’affetto di uno che non ha rinunciato all’amore ma solo alla sua manifestazione genitale. Alla Chiesa non servono preti acidi ed asessuati, impachettati dentro una cintura di castità, privi di passione e di entusiasmo, incapaci di una trama di rapporti umani. Il prete deve essere un uomo libero, pur nella ineliminabile fragilità ed inquietudine. E al prete, se deve essere padre e sposo di una comunità, bisogna insegnare ad amare. Questa è la vera sfida. Una sfida educativa per gli anni del Seminario, in una “materia” ove i libri sono le testimonianze di chi ha provato nella sua carne la tenacia della lotta con le notti e i giorni, ed ha sperimentato gli aiuti ricevuti dalla Grazia e dagli amici. È una sfida che si combatte su un terreno diverso rispetto a qualche decennio fa, e bisogna riconoscerlo. Forse si deve attingere al grande bacino dell’amicizia (non solo sacerdotale nel presbiterio, pensato come un improbabile rifugio) e procedere a qualche esperimento di vera simbiosi e comunione di vita tra le vocazioni del sacerdozio e del matrimonio. Il prete può trarre un giovamento immenso dall’amicizia di una famiglia, anche se rinuncia a farne una sua. Un prete e una famiglia possono sorreggersi a vicenda. Una famiglia vera, in cui un uomo ama la sua donna nella quotidianità, può aiutare un prete ad amare uomini e donne con passione, rispetto e libertà. Può darsi che io sogni. Ma se la realtà è quella che abbiamo scoperchiato in questi giorni, rifugiarsi in un sogno è quasi un atto di fede.

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4 thoughts on “Provo vergogna!

  1. Carissimo Don Agostino,
    è da quando si è diffusa questa orribile notizia che mi ripeto che avrei voluto conoscere le Sue parole: non tanto sulla cronaca, quanto su tutto quello che c’è intorno.
    L’articolo di oggi sul Corriere mi ha dato una risposta e un conforto; mi piacerebbe commentarlo per dare un contributo, ma lo condivido talmente tanto che non posso dire altro che… “Sono d’accordo!”

    L’articolo mi ha dato anche l’occasione di venire a vedere questo interessantissimo blog: ho perso mezzo pomeriggio di lavoro per leggerlo … ma ne valeva la pena!
    Grazie
    Pietro

  2. Grazie don Agostino per questo articolo che ho trovato molto chiaro e, per così dire, onesto. Molto bella la riflessione espressa nella seconda parte.

    Esprimo sgomento per tutto l’accaduto, ma soprattuto per certo giornalismo che purtroppo su questi fatti ci stà ricamando un notevole “contorno”. Un duro colpo per le nostre comunità, una grande fatica riuscire a sostenere il confronto con chi ha già il dente avvelenato verso tutto ciò che sà di preti e di chiesa.

    Nonostante tutto sento di dover pregare sì per le vittime della vicenda, ma anche per don Marco che ritengo anche lui bisognoso dell’aiuto e della misaricordia di Dio.

    Grazie. Carla

  3. …accompagno da lontano le vicende “di casa”… condivido le tue parole, i sentimenti e il vissuto espressi in questo articolo.
    Grazie anche delle omelie settimanali: in questo angolo di terra, in cui anche la riflessione scarseggia, sono molto, molto utili!
    Un caro saluto,
    sr Irene

  4. Grande don Agostino. La leggo con maggior interesse e piacere qui che sul Settimanale. Forse qui ha meno vincoli, là doveva rendere conto al altri.
    Mi è piaciuta molto il suo ideale di prete “Deve essere uomo.. che ama. Ha rinunciato solo alla sua manifestazione genitale” . Ce ne fossero ti preti così.
    E pregandoLo, Dio ce ne conceda.

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