Nicodemo è un fariseo, un capo, e vuole capire meglio chi è questo Gesù, che è entrato nel tempio e ha compiuto il gesto di cacciarne fuori i venditori e i cambiamonete. Va da lui, di notte, forse per paura di essere visto e giudicato dagli altri farisei, ma forse solo perché quello è l’unico momento adatto ad avere un po’ di tempo per ascoltare le parole di Gesù. Già sarebbe una buona cosa se noi in questo tempo della Quaresima trovassimo una sera per ascoltare Gesù, per ascoltarci a vicenda, per parlarci e per dialogare a lungo su cose più importanti di quelle che ci tengono occupati per intere giornate. Saremmo fortunati come Nicodemo, che si sente dire da Gesù quello che è il nocciolo di tutto il Vangelo. Sapessimo solo questo, sapremmo l’essenziale.
E qual è questo nucleo? Dio nei confronti del mondo è animato solo dall’amore e Gesù ne è come il vertice, il punto più visibile di un amore che è dono e perdono. Affermare una cosa simile può sembrare scontato alle nostre orecchie che sono abituate a sentire parlare di amore. Soprattutto rischia di scivolarci sopra come qualcosa di già ascoltato, perché, in fondo, grazie al cristianesimo, l’immagine di Dio che ci siamo fatti e che permea la spiritualità diffusa comprende questa attenzione, questa vicinanza. Non è il Dio freddo e calcolatore che muove l’universo o il Dio che sta in fondo ad un procedimento logico e nemmeno il dio che percorre come una linfa energetica la natura e il cosmo. Non è un Dio-dentro e nemmeno un Dio-fuori, ma è un Dio Amore, talmente amore da donare colui che ha di più caro, il Figlio, e da donarlo affinché attraverso di Lui il mondo sia salvato. Certo un Dio così non è un Dio che condanna, nel senso che noi diamo a questo termine, ma è un Dio che, grazie al suo essere dono d’amore, diventa giudizio. Spesso ci si ferma a discutere se in Dio prevalga la giustizia o la misericordia, ma è un falso problema. Per comprendere chi è Dio non abbiamo altro modo corretto che partire da come Egli si è manifestato. Ed è appunto il nocciolo che Gesù rivela nel dialogo di quella notte con Nicodemo. Egli sostanzialmente dice: se Dio ti si rivela come dono di sé per la tua salvezza, la tua risposta è l’adesione a questo amore, ma è chiaro che l’amore lascia liberi e puoi anche non aderire e rifiutare, puoi credere ma anche non credere. Il giudizio sta qui, in questo proporsi a te di un amore perfetto e sino alla fine: l’amore non condanna mai, ma chi tradisce un simile amore si autocondanna. La grandezza dell’amore di Dio sta nel fatto che la proposta di amore in Gesù Cristo, il Figlio che deve essere innalzato sulla croce, è una proposta sempre aperta in cui il dono si offre anche come perdono. Ma il giudizio è chiaro, è luminoso.
Gesù utilizza proprio l’immagine della luce per spiegare a Nicodemo che la salvezza è frutto di un dono divino che deve essere accolto. Egli, da bravo fariseo, rischiava di credere che la salvezza fosse la semplice e automatica risultanza dell’aver osservato i precetti della Legge. Ma è l’adesione a Dio o sono le opere a salvarci? Un tema, questo, che san Paolo avrà particolarmente a cuore, come si evince dalle parole che egli rivolge agli Efesini: le nostre opere sono salvifiche, ci portano a Dio perché «noi siamo opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone, che Dio ha preparato perché in esse camminassimo». Troppo complicata e astrusa questa problematica? Forse, ma il messaggio di Gesù è trasparente. Dio è la luce del nostro operare nel bene. Questa luce non è rimasta lontana, ma «è venuta nel mondo». È che gli uomini spesso amano le tenebre più della luce, temono la luce perché essa fa vedere che le loro opere non sono buone, preferiscono tenere tutto al buio così da non correre il rischio di essere condannati. «Invece – dice Gesù con una espressione bellissima sempre attuale – chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio». Per venire alla luce, cioè per aderire a Gesù, bisogna operare la verità, cioè agire in modo corretto. L’alternativa a questo cammino continuo del venire alla luce è una china discendente, in cui il rifiuto della luce genera la menzogna e, siccome la luce non si spegne, si giustifica la violenza. Ci deve far riflettere questo.