Corriere di Como, 3 gennaio 2017
Nelle ultime settimane si è parlato molto della disinformazione virale, ovvero della possibilità che, grazie a Internet, vengano diffuse come vere notizie che invece non hanno alcun fondamento nella realtà, le cosiddette «bufale». Alcuni propugnano l’adozione di forme di autocontrollo da parte dei gestori dei social network più popolari. Altri temono l’introduzione di nuove forme di censura alla libera circolazione del pensiero. Entrambi devono fare i conti con la virtualità della Rete, le cui maglie sono molto larghe: Internet e i social nascono proprio come strumenti per comunicare in modo disinibito, sfuggendo alle regole della comunicazione tradizionale.
Ciò che mi stupisce in questo dibattito è il ritorno di una parola che era stata gettata nel solaio delle robe vecchie: verità. Come? Siamo forse nauseati dal carosello delle opinioni, dall’istintività dei “mi piace”, dalla raffica delle news smozzicate? Sentiamo il bisogno, anche in Rete, della buona vecchia verità? Non è così, purtroppo. Stiamo ancora una volta cadendo nel tranello di dare la colpa ad uno strumento tecnologico, per evitare di batterci il petto e cambiare noi! Certo, i social hanno modificato la nostra percezione della realtà e la Rete condiziona pesantemente l’uso del nostro tempo, ma essi rimangono gli strumenti che interfacciano la nostra mente, sono la tastiera che noi pigiamo, il monitor che noi guardiamo. Siamo noi che crediamo (o no, perché poi non siamo davvero tutti così sprovveduti) che la prima risposta in cima alla lista dei risultati della ricerca nel web sia la “verità” e non solo quella risposta che ha avuto più collegamenti. I trafficoni di Internet sanno che, se vogliono trovarsi in alto in quella lista, devono mettersi nelle mani del famigerato SEO (Search Engine Optimization), ovvero devono seguire fedelmente le regole per ottimizzare i risultati su un motore di ricerca.
Insomma, la verità non c’entra niente. Né oggi, né ieri. Sì, perché succedeva così già mezzo secolo fa, quando si viaggiava solo con la carta stampata: erano i titoloni gridati dei giornali a formare quotidianamente l’opinione pubblica, e i più non leggevano nemmeno gli articoli… Certo, la Rete è un potentissimo megafono di tutto ciò che vi naviga… E qualcuno può pensare di usare questo strumento – di per sé valido e utile – per farci soldi o per influenzare l’opinione pubblica.
C’è un solo modo per destabilizzare le «bufale». Essere meno creduloni e usare di più quell’intelligenza che un motore di ricerca non potrà mai avere. Si dice che la Rete abbia creato il mondo della «post-verità» (ovvero di quelle notizie completamente false che vengono però spacciate per autentiche), ma essa si è solo servita del meccanismo che, in fondo, è alla base delle nostre democrazie moderne, dove, purtroppo, la «verità» è nelle mani della maggioranza. Proprio come nei motori di ricerca sul computer… Forse, per ossigenarsi di verità, basterebbe fare qualche bella immersione nella realtà.