Sono passati ormai quattro mesi dal grande incontro mondiale delle famiglie tenutosi a Milano. Il tema è sempre in primo piano – come è giusto che sia – anche nella città meneghina e non si fa fatica a capire che l’arcivescovo Angelo Scola non si trova sulla stessa linea del sindaco Giuliano Pisapia. Nulla di particolarmente eclatante, se non fosse che il vero motivo di frizione riguarda i politici cattolici, soprattutto quelli che militano nelle file del Pd. Nello stesso giorno in cui il cardinale di Milano, inaugurando le scuole diocesane di formazione sociale e politica, richiamava gli amministratori cattolici a non cedere sui matrimoni, a costo di rinunciare al posto in giunta se essa, ad esempio, approva il registro delle unioni di fatto anche tra persone dello stesso sesso, il papa Benedetto XVI, parlando a Castel Gandolfo ai membri dell’Internazionale democratico-cristiana, li invitava a non cedere sui temi etici, quali la tutela del matrimonio tra un uomo e una donna e il rifiuto dell’aborto e dell’eutanasia. Un asse Roma-Milano che, del resto, non fa che ripetere e confermare una linea comune nella Chiesa cattolica.
Dicevo che il vero fronte riguarda proprio quei politici che si dichiarano cattolici e militano in coalizioni ove su questi temi vi è una difformità di posizioni e ove spesso prevale proprio quella diametralmente opposta alla visione della dottrina sociale cristiana. La risposta arrivata dalle dichiarazioni degli amministratori cattolici milanesi che militano nella giunta Pisapia glissa elegantemente sull’intervento assai più esplicito del cardinal Scola, e ripete che un politico, anche cattolico, si muove laicamente in politica ed ha come punto di riferimento la Costituzione. Già su questo terreno qualche problema ci sarebbe, e non di poco conto, in riferimento al matrimonio. Comunque sia, la risposta più sintetica e trasparente l’ha data il sindaco di Firenze, Matteo Renzi: «Sono cattolico, ma da politico agisco laicamente. Ho grande rispetto per il Pontefice, ma quando faccio politica rispondo alla Costituzione, alle leggi e alla mia coscienza».
Agire laicamente in politica significa rispondere alla Costituzione, alle leggi e alla propria coscienza? Se è così, bisogna tener conto che il riferimento alla Costituzione non è univoco ed è complesso, in quanto la nostra Costituzione è frutto abbastanza evidente di un “compromesso” politico e culturale che in tanti punti manifesta ormai le sue crepe. Le leggi, poi, il politico è chiamato addirittura a farle e non sempre esse sono, quindi, un riferimento ma, semmai, una meta. La coscienza è davvero un punto di ancoraggio importante per l’azione di un politico, ma egli è impegnato a formare la propria coscienza riferendosi a quanto fa parte del suo patrimonio ideale, culturale e religioso. Dire: «Sono cattolico e agisco secondo coscienza», significa concretamente formare cattolicamente la propria coscienza, perché solo una coscienza formata così è idonea a dare un contenuto valido al politico che dichiara di essere cattolico. Altrimenti il rischio è che quel “secondo coscienza” sia un sinonimo dell’assai diffuso “secondo me” e che a formare la coscienza siano di fatto i desideri degli italiani espressi nei sondaggi o il culto della maggioranza (che è un rischio connesso ai regimi democratici) o addirittura le opinioni di quelli che si sa essere i propri elettori in ottemperanza alla spietata logica del consenso. Sia chiaro, nel grande contenitore della cattolicità – a differenza dei contenitori politici confusionari e magmatici – c’è per fortuna spazio per un dibattito su temi che talvolta sono umanamente complessi – penso al fine vita – ma la prudenza cristiana si nutre di principi certi e la parola del Papa o il pronunciamento di un Concilio per un politico cattolico merita ben più del “rispetto” che egli può e deve avere per un sindaco, un parlamentare, per un capo di Stato o per una sentenza della Corte Costituzionale.
Mi pare che per qualche politico cattolico le parole del Papa valgano nella misura in cui plaudono alle proprie opinioni politiche, già più o meno sdoganate dentro coalizioni che si muovono a briglia sciolta. Il Papa, il Vescovo, il Catechismo diventano delle “pezze giustificative” della propria azione, oppure restano esigenze politicamente irrealizzabili per la “molteplicità delle individualità” che caratterizza il contesto sociale. Insomma, una domanda s’impone: nell’agire “secondo coscienza” che caratterizza la laicità della politica è la coscienza dell’individuo che misura e autentifica i valori, oppure sono i valori che formano la coscienza e ne fanno il laboratorio per la loro realizzazione nel contesto storico?
Certo è che siamo di fatto sempre più immersi in una immensa babele in cui tutto è sempre più relativo; ma quello che mi preoccupa più di tutto è che questo “male” dilagante e contagioso è purtroppo presente anche nelle nostre comunità parrocchiali, là dove anche chi ne è a capo spesso (e, ahimè, volentieri) persegue questa onda di pensiero così accomodante e ricca (di nuovo ahimè) di largo consenso.