Corriere di Como, 5 novembre 2019
La notte del 9 novembre di trent’anni fa cadde il Muro di Berlino. Costruito a partire dal 1961 nel pieno della guerra fredda tra Stati Uniti e Unione Sovietica, rimase in piedi come simbolo di una divisione ideologica che paralizzava il mondo intero. Il 1989 rappresenta, pertanto, una data importante che segna un cambiamento che ve ben oltre la riunificazione delle due Germanie. Il 9 novembre 1989 è una di quelle date di cui gli storici hanno bisogno per organizzare la mappa degli avvenimenti e che spesso vengono trattate come delle cesure che dovrebbero segnare i cambiamenti epocali. Questo è vero, a maggior ragione oggi, in un mondo che grazie alla rivoluzione delle comunicazioni, è divenuto villaggio globale in cui i fatti si conoscono mentre avvengono.
Ma la caduta del Muro è stato un evento di questo tipo? Fu vera svolta? Forse, per rispondere, trent’anni sono troppo pochi, e quell’evento – a cui molti di noi hanno assistito in presa diretta grazie alla televisione e ai giornali – è ancora avvolto nella cronaca, con testimoni e protagonisti che sono ancora vivi, e quindi rifugge da una oggettivazione storica precisa. Di certo il Muro veniva avvertito come una barriera della vergogna e la sua caduta – inattesa per quella notte autunnale, ma di cui c’era stato qualche segnale premonitore – fu accolta con gioia dalla gente e con apprensione dai leader politici dei due fronti.
In trent’anni, però, oltre due milioni di persone hanno abbandonato la ex Ddr per cercare fortuna nei Laender dell’Ovest, e quelli che sono rimasti all’Est votano uno su quattro il partito nazionalista di estrema destra AfD. E questo nonostante una incredibile quantità di risorse – 2500 miliardi di euro – sia stata investita nei territori della ex Ddr. Insomma, qualche problema di integrazione tra i due vecchi Stati permane ancora, anche se il Muro nella capitale Berlino non c’è più da trent’anni.
La sua caduta – dicevamo – è un avvenimento che va oltre la problematica dell’unità tedesca, e sta ad indicare un segnale di disgelo tra Unione Sovietica e Stati Uniti. I sovietici a febbraio di quel 1989 erano usciti dalla disastrosa campagna di occupazione militare dell’Afghanistan, gli americani ad agosto del 1990 avrebbero iniziato la prima guerra del Golfo. Lo scacchiere mondiale si è modificato, soprattutto a causa dell’esplodere del terrorismo di matrice islamica. Ed ora, nel 2019, ci troviamo con un presidente statunitense, Donald Trump, che un muro vuole costruirlo lungo la frontiera con il Messico (a completamento di quanto già iniziato dai suoi predecessori), e un presidente russo, Vladimir Putin, che ha dimostrato di usare il pugno duro con alcune ex repubbliche sovietiche (vedi l’intervento militare russo in Ucraina che ha prodotto sanzioni economiche da parte di Stati Uniti ed Europa). Chi l’avrebbe mai detto in quell’autunno del 1989 che sembra così lontano?
Nei giorni scorsi, il titolo di un quotidiano in riferimento alla caduta del Muro si domandava: «È stata un’illusione?». Verrebbe da rispondere che sono stati trent’anni di grandi delusioni. Ma la storia non si giudica e non si misura con le date, per simboliche possano essere. La tensione che il Muro teneva in piedi non è affatto crollata. Anzi, ad essa se ne sono aggiunte altre. È normale, però, perché è così che è sempre andata avanti la storia degli uomini.