Corriere di Como, 15 ottobre 2019
La guerra nel Medio Oriente non è mai veramente cessata, ma ora s’è aperto un nuovo focolaio tra la Turchia e la Siria. Il presidente turco Erdogan in realtà vuole colpire i curdi che sono insediati nel nord della Siria e che da quella postazione avevano dato il loro fattivo contributo alla sconfitta dell’Isis. Lo scacchiere siriano negli ultimi anni è stato il teatro di una orribile guerra civile che ha finito con il coinvolgere anche i Paesi vicini, con l’intervento di Stati Uniti e Russia. Un vero rebus internazionale, che l’Europa, con la sua atavica assenza di una politica estera comune, continua a guardare nella più assoluta impotenza.
Del resto, l’Unione Europea ha, per così dire, «comprato» la Turchia perché esercitasse una preziosa funzione di blocco del flusso dei profughi diretti in Europa via terra attraverso la cosiddetta «rotta balcanica», e ora rischia di subire il ricatto del potente leader turco, che cerca di incassarne il silenzio sulle sue operazioni di guerra in territorio siriano.
Il quadro del nuovo conflitto è ancora in fase di definizione: sembra che un accordo sia stato siglato tra il governo di Damasco e i curdi per la loro difesa dall’attacco turco. Uno dei rischi più seri è, però, l’eventualità che la guerra possa favorire una ripresa delle attività terroristiche dello Stato Islamico con la liberazione di migliaia di prigionieri detenuti proprio nelle località bombardate dall’aviazione turca. Insomma, l’ennesimo conflitto nel Medio Oriente ci riguarda più di quel che potremmo pensare.
È pertanto urgente che l’Unione Europea prenda consapevolezza della necessità di dare una risposta unitaria, forte e autorevole, al progetto di Erdogan, evitando l’escalation di una guerra profondamente ingiusta, la liberazione di prigionieri dell’Isis che potrebbero tornare a colpire le città europee con i loro attentati e l’intensificazione di flussi migratori che mettano in crisi i Paesi della frontiera orientale.
Perciò mal si conciliano con la drammaticità del momento le prese di posizione da parte di due calciatori turchi che militano nella massima serie del nostro campionato di calcio. Il difensore della Juventus Merih Demiral e l’attaccante della Roma Cengiz Under, nei giorni scorsi hanno postato messaggi sui social, da cui si evince la loro chiara posizione a favore di Erdogan e della sua operazione di guerra, che il leader turco ha chiamato «Primavera di pace». Under ha addirittura postato una fotografia in cui, vestito con la maglia della Roma, fa il saluto militare. Forte e immediata è stata la reazione da parte dei tifosi: «Non con la nostra maglia. Mai!», è il messaggio ricorrente. Silenzio imbarazzato, invece, da parte della società giallorossa, e si può comprenderne la prudenza, visto che all’orizzonte c’è l’appuntamento del 28 novembre, quando la Roma sarà ospite a Istanbul del Basaksehir (squadra molto amata dal presidente Erdogan).
Non è questione di invocare una improponibile neutralità dello sport. Sarebbe, però, necessario evitare l’amplificazione delle proprie passioni attraverso i social. Magari, vista la loro propensione ad una istintività digitale, ai dorati dipendenti del calcio si potrebbe anche imporlo per contratto aziendale.