Non farti cadere le braccia!

VENTINOVESIMA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – Anno C

Un’espressione che usiamo per indicare sconforto fa riferimento proprio al gesto di braccia che si lasciano cadere per la stanchezza. Non ne possiamo più e le braccia – che dicono tutto il nostro impegno – sono inoperose. Nel racconto della prima lettura, le braccia di Mosè sollevate in alto hanno un altro significato: dicono la preghiera e l’affidamento a Dio dell’esito della battaglia che si sta combattendo. «Quando Mosè alzava le mani, Israele prevaleva, ma quando le lasciava cadere prevaleva Amalek». È bello notare questo doppio significato delle mani, mani che operano e mani che pregano. Lasciarle cadere è segno di poca fiducia. È il segnale di bandiera ammainata, di rinuncia a combattere. La parabola che Gesù ci ha raccontato parla di una vedova apparentemente senza potere e di un giudice «che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno». Eppure la bandiera di questa vedova non è mai ammainata. Ella non rinuncia mai a chiedere giustizia, ed è talmente molesta che anche un potente è disposto a farle giustizia, pur di non trovarsela sempre tra i piedi. Dio, che non è come quel giudice, non farà forse giustizia a chi lo prega sempre, senza stancarsi? Le parole di san Paolo vanno nella stessa direzione: «Rimani saldo in quello che hai imparato e che credi fermamente» perché «conosci coloro da cui lo hai appreso». Spesso, siamo tentati di cambiare, di annacquare, di intiepidire, perché ciò che abbiamo imparato e in cui crediamo sembra non funzionare. Forse è proprio la testimonianza di chi ce lo ha insegnato a farci superare la tentazione. Il papà e la mamma, i nonni, una catechista, il don. Siccome ci fidiamo di loro, rimaniamo saldi.

Ma c’è una domanda al termine della pagina evangelica che ci desta qualche preoccupazione. Intanto perché è una domanda senza una risposta (non la troviamo nel seguito del vangelo di Luca). Ma, poi, perché è una domanda che ributta su di noi l’onere della prova. Dio sembra assicurarci che da parte sua non ci sarà alcun cedimento: egli certo verrà. Ma noi sapremo tenere le braccia in alto? Avremo la tenacia della vedova? Resteremo saldi sino alla fine? «Il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?». Non lo sappiamo, e talvolta abbiamo proprio l’impressione che la fede – dentro di noi e attorno a noi – si assottigli sempre più. Sia chiaro: Gesù non ha domandato se, al suo ritorno, troverà ancora una bella organizzazione chiamata Chiesa o gente che va a Messa la domenica o gente che vive la carità. Egli parla di «fede sulla terra». Tornando cercherà la fede nel cuore dell’uomo, cercherà la tenacia di chi ha resistito sino all’ultimo, di chi ha saputo perseverare e pregare senza lasciarsi intimorire dagli eventi avversi.

Non sta a noi rispondere a questa domanda, soprattutto perché anche Gesù l’ha lasciata in sospeso. Qual è, invece, il nostro compito, di fronte a questa domanda così impegnativa? Potremmo rispondere così: il nostro compito è la missione. Oggi la Chiesa celebra la Giornata Missionaria Mondiale e ci invita a pregare e ad aiutare i missionari, cioè quegli uomini e quelle donne che hanno impegnato la loro vita per portare lontano da casa il messaggio del Vangelo. Un’opera necessaria. A patto che non costituisca un comodo alibi per pensare la missione come una realtà che non ci riguarda. Paradossalmente la domanda di Gesù è più vicina di quel che pensiamo.

Troverà la fede sulla terra? Cioè: troverà la fede nella mia casa, nella nostra parrocchia? Non sappiamo come Egli, tornando, misuri la fede. Può darsi che non usi il metro della frequenza della Messa festiva. Che non venga qui a contare quanti ne trova in chiesa. La fede, in effetti, precede e supera questo dato statistico. Certamente, la fede c’è quando si desidera trasmetterla. Quando diventa missione. La fede o è missione o non c’è affatto. Allora dobbiamo aiutarci a vicenda in questo compito della missione.

Le mani di Mosè stavano in alto perché Aronne e Cur, uno da una parte e uno dall’altra, le sostenevano. Ci aiutiamo, noi, a tenerci sollevate le braccia o facciamo di tutto per lasciarle cadere e per farle cadere a chi ci sta vicino? «Ma i risultati sono deludenti», ci lamentiamo continuamente noi. Sì, per questo san Paolo ci invita: «Insisti al momento opportuno e non opportuno».

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