Colpo di testa 60 / La pace non è una gara di finzione olimpica

Corriere di Como, 13 febbraio 2018

Si ripeterà la distensione del ping-pong, che negli anni Settanta contribuì ad avvicinare gli Stati Uniti di Nixon alla Cina di Mao? Credo proprio di no. Che il disgelo tra le due Coree possa avere inizio sul ghiaccio di Pyeongchang è cosa poco probabile. Le prove di dialogo tra Seoul e Pyongyang in occasione dei Giochi Olimpici Invernali, che si stanno svolgendo in Corea del Sud, si scioglieranno come neve al sole, perché hanno come unico collante una strategia del sorriso che non ha alcun fondamento né politico né diplomatico. L’ambizioso leader nordcoreano Kim Jong-un è solo preoccupato di mostrare al mondo la propria forza – in concomitanza con l’inizio delle Olimpiadi, infatti, ha organizzato la consueta parata militare – e vuole far vedere al mondo che è in grado di imporre anche la distensione, se questo giova alla sua immagine. Il presidente sudcoreano Moon Jae-in nasconde dietro un sorriso olimpico l’incapacità di attuare una politica che sia autonoma dalla protezione statunitense e dal ruolo giocato dalla Cina. Infatti, coloro che la partita coreana se la giocano a ping-pong sono Xi Jinping e Donald Trump. E per questo motivo, credo proprio che la distensione sia là da venire, perché ci sono troppi interessi da una parte e dall’altra a voler tenere il filo teso tra le due Coree. Se si aggiunge l’imprevedibilità del presidente americano – che gioca con le battutine su Twitter con il dittatore nordcoreano – e le incertezze sul piano economico del colosso cinese, allora il quadro diventa complesso e sarebbe ingenuo confidare troppo in una stretta di mano o in una cena o un concerto in occasione di un pur importante avvenimento sportivo.

Detto questo, da cittadini del mondo dobbiamo sperare che i cerchi olimpici inneschino un inatteso e non voluto meccanismo virtuoso che vada a placare, se non altro, i venti di guerra nucleare. Nessuno certamente è così sprovveduto da volerla davvero provocare, ma la leggerezza con cui Kim Jong-un maneggia le armi e Donald Trump amministra le parole non devono farci stare tranquilli. Quindi, anche la strategia del sorriso – usato alternativamente come arma di difesa o di offesa – va presa come un apprezzabile segnale di momentanea distensione.

Per fortuna sembrano lontani gli anni in cui i Giochi Olimpici funzionavano a telecomando delle tensioni politiche internazionali, a colpi di boicottaggio reciproco: nel 1980 furono gli americani a non andare a Mosca, e nel 1984 il blocco sovietico ricambiò con l’assenza da Los Angeles.  I coreani, del resto, in occasione dei giochi olimpici hanno sempre attuato una politica sportiva unitaria con tanto di bandiera inventata, e sarebbe stato preoccupante non farlo, giocando in… casa. Da qui a dire che i Giochi Olimpici – e lo sport in genere – possano innescare un serio processo di pace, ce ne corre. Anzi, sarebbe brutto svegliarsi il 26 febbraio, e dover riconoscere che l’unica gara che le due Coree hanno vinto insieme è stata quella della finzione… olimpica!

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