Corriere di Como, 27 dicembre 2016
Le date sono una convenzione, uno dei tentativi che noi umani facciamo per riuscire a vivere insieme. Spesso, all’origine di queste convenzioni vi sono anche constatazioni sperimentali. In questi giorni, ad esempio, anche se ancora impercettibilmente si allungano le giornate. Ecco che già gli antichi romani trovavano l’occasione per festeggiare il sole, che iniziava la sua corsa vittoriosa nel cielo contro il buio della notte. Sant’Agostino racconta che i pagani ancora nel quinto secolo accendevano fuochi sulle montagne, come per aiutare il sole a crescere, così da trasformare l’ultima settimana dell’anno in un inno alla luce. Sembra che questo abbia convinto i cristiani a fissare proprio in questa occasione una delle date più importanti del loro calendario, il Natale, per sottolineare che il vero sole che splende e cresce è il Cristo.
Anche il passaggio dal 31 dicembre al 1° gennaio è carico di un simbolismo solare legato al solstizio d’inverno, con una connotazione augurale. La divinità che nell’antica Roma presiedeva a questo rito di passaggio è un certo Giano (che poi dà il nome al primo mese dell’anno), famoso per essere bifronte: egli guarda avanti all’inizio del nuovo anno, e guarda indietro alla fine di quello trascorso. Esattamente quello che facciamo ancora noi oggi in questi giorni, recuperando dalla memoria dei dodici mesi del 2016 eventi lieti e tristi che ci sono capitati o di cui siamo stati attori; con lo sguardo, però, siamo già rivolti ad un futuro, su cui pure già si addensano le nubi, ma che desideriamo, magari con un briciolo di incoscienza, colmo di benessere e serenità. Se il nostro sguardo dovesse essere freddamente razionale, dovremmo concludere che il passato e il futuro si assomigliano più di quel che pensiamo: il bene e il male vi sono presenti in modo uniforme, la speranza è una chimera, e fra un anno saremo magari qui a rendicontare e prevedere nello stesso modo. Ma, per fortuna, questo sguardo razionale e freddo, se esiste, fatica assai a diventare il nostro. Può prevalere l’illusione o la delusione, ma non sappiamo rinunciare alla luce, non fosse altro perché il sole cresce proprio a partire da questi giorni. Siamo come influenzati dall’astro che ci assicura luce e calore, e in ultima istanza garantisce la vita.
Senza esser preso dalla frenesia di buttare via tutto – siamo un po’ fanatici nel giudicare il passato come un contenitore di cose funeste – per questi giorni che ci dirigono verso la notte di capodanno mi piace far balenare un’immagine, quella dei vogatori. Essi, nelle loro imbarcazioni affusolate come proiettili lanciati in avanti, non hanno alcuna percezione diretta del futuro, a cui danno le spalle. Non vedono dove stanno andando, ma solo ciò che hanno già superato con i loro sforzi. La loro scienza del futuro è tutta affidata al fruscio dell’acqua che la punta dell’imbarcazione fende come un coltello. Il loro presente è pieno di passato. Ma la direzione è diametralmente opposta. La speranza è una virtù che si coltiva per terra…