Il «grazie» vero della preghiera

TRENTESIMA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – Anno C

Doronico dei maceretiLa preghiera e la gratitudine – temi che abbiamo trovato nelle letture delle due domeniche precedenti – s’intrecciano oggi in un insegnamento che ci aiuta a comprendere meglio sia che cosa significhi veramente ringraziare, sia il valore e l’essenza del pregare. L’orazione fatta al tempio dal fariseo inizia con un solenne «O Dio, ti ringrazio». Già, ma comprendiamo subito che quell’uomo «pregava tra sé» e stava sì ringraziando, ma se stesso. Quella sua preghiera iniziata in un modo così apparentemente giusto era in realtà un soliloquio: Dio era solo un pretesto per affermare una giustizia che il fariseo aveva raggiunto in proprio e che superbamente voleva far conoscere a Dio stesso. Perché ci sia ringraziamento, devo riconoscere lo spazio della grazia che viene da fuori di me: viene certo a rafforzare il mio impegno, ma tutte le opere buone che io compio sono buone perché contengono questa giustizia che le precede e che mi viene donata.

Questo è un punto molto importante e giova soffermarsi un attimo. La parabola del fariseo e del pubblicano non mira a scardinare la necessità di una vita morale che tende alla perfezione: le opere del fariseo non sono sbagliate, mentre lo sono quelle del pubblicano ed egli stesso lo riconosce nella sua semplice preghiera. Ma il fariseo dimentica di riconoscere che quel Dio – che egli pure esteriormente ringrazia – è l’origine del bene che abita le sue opere: non è un semplice spettatore della giustizia che il fariseo è riuscito con sacrificio a costruire nella trama della sua vita, ma è l’autore del bene, di ogni bene, del suo come di quello degli altri. Ecco perché nessuna vera preghiera che voglia davvero ringraziare Dio può contenere l’autocompiacimento e il disprezzo degli altri. Se ho bisogno di infangare l’altro per far emergere il mio «ego», vuol dire che Dio non c’entra nulla. Ma se Dio non c’è o è semplice spettatore della mia perfezione, allora non c’è nessuna preghiera e non c’è nemmeno alcuna vera gratitudine.

Vien da concludere che almeno metà delle nostre preghiere non lo sono, e non solo perché siamo abituati a pregare solo quando c’è da chiedere e non per ringraziare, ma anche perché, quando pure ringraziamo, assomigliamo molto al fariseo. Tante nostre confessioni – già molto diradate nel tempo – si riducono ad una superba autoesclusione dal peccato: non ho rubato, non ho ucciso, non ho bestemmiato e mi sono fatto i fatti miei senza impicciarmi troppo degli altri, dividendomi tra il lavoro e la famiglia.

Ricordo sempre quella donna che incontrai casualmente e che, riconoscendomi come prete, cominciò a presentarsi come «molto religiosa», di famiglia «molto religiosa», non come «quelli che non credono più in Dio», ecc. aggiungendo poi, come una mancanza del tutto veniale, che «non possiamo certo permetterci il lusso di andare a Messa tutte le domeniche». Vedete? Tanto autocompiacimento, un pizzico di disprezzo per gli altri, e quel ringraziamento che è centrale per la fede di un cristiano – l’Eucaristia domenicale – ridotto ad un «lusso», ad un «di più» che non cambia affatto la vita. Questo cristianesimo fariseo è diffusissimo, e Gesù lo stigmatizza come sbagliato. Dice sostanzialmente che si può entrare in chiesa giusti e perdere la propria giustizia in forza di una preghiera sbagliata, di un mancato rapporto con Dio. Mentre si può arrivare in chiesa con la consapevolezza dei propri errori e tornare a casa giustificati grazie alla lealtà della propria umiliazione ed al fatto di essersi messi in relazione con Dio battendosi il petto e non mettendosi impettiti davanti al cielo.

Naturalmente, si sarà anche capito che la misura di autenticità della preghiera non è affatto esteriore, non si basa sull’altisonanza delle parole, ma sul riconoscimento della propria povertà, perché – come ci ha detto il Siracide – «la preghiera del povero attraversa le nubi». E san Paolo ci ha confermato che, se anche «tutti mi hanno abbandonato», «il Signore però mi è stato vicino e mi ha dato forza». Quindi, la parabola che ci ha raccontato oggi Gesù è anche un invito a fuggire la superbia e l’esibizionismo, a non cadere nel tranello di sostituirci a Dio nel giudicarci e anche a non essere troppo condizionati dal compiacimento degli altri e dalle opinioni buone o cattive che gli altri hanno di noi. Viviamo davanti a Dio!

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One thought on “Il «grazie» vero della preghiera

  1. Non costa niente ringraziare ma si ha vergogna ad entrare in chiesa a ringraziare Gesù, a sostare per un rosario o semplicemente a far compagnia a Gesù a ringraziamento di quello che si riceve gratuitamente ogni giorno, per esempio la salute. Ecco perchè le chiese sono sempre vuote……

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