In questa solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo, la Chiesa ogni anno ci invita a sostare davanti al mistero dell’Eucaristia. Le parole che abbiamo pronunciato nella Sequenza ci aiutano a riflettere. Abbiamo insieme recitato solo le quattro strofe finali della sequenza Lauda Sion Salvatorem, composta da san Tommaso d’Aquino nel secolo XIII, un testo poetico e liturgico che aveva lo scopo di rafforzare la fede circa la presenza reale di Cristo nell’Eucaristia. Infatti, le venti strofe che precedono quelle che abbiamo letto sono tutte dedicate a spiegare questa presenza divina: «Tu non vedi, non comprendi, ma la fede ti conferma, oltre la natura». Nel tempo in cui papa Urbano IV chiese all’illustre filosofo e teologo di scrivere questo testo, si ponevano obiezioni alla verità della cosiddetta «transustanziazione» e c’era chi materializzava troppo il segno del pane e del vino, scandalizzandosi perché l’ostia veniva spezzata – quasi che in quel modo venisse spezzata anche la persona del Cristo – o chiedendosi come in un piccolo frammento potesse essere presente tutto il Cristo. San Tommaso, da buon catechista, risponde usando l’arte della poesia: «Quando spezzi il sacramento non temere, ma ricorda: Cristo è tanto in ogni parte, quanto nell’intero. È diviso solo il segno, non si tocca la sostanza; nulla è diminuito della sua persona».
Non so se noi abbiamo superato le obiezioni che portarono san Tommaso a scrivere la Sequenza del Corpus Domini. Forse le abbiamo solo coperte con la coltre della nostra distrazione. Parlandone con i bambini della Prima Comunione e con i loro genitori, mi sono accorto che il mistero eucaristico non è affatto compreso nella sua verità e nella sua bellezza. Spesso siamo unicamente attenti al segno – il pane e il vino – e non ci soffermiamo sul significato. Le ultime quattro strofe ci aiutano proprio a penetrare in quel significato dell’Eucaristia, che è prefigurato nell’Antico Testamento e reso poi evidente nella persona di Gesù. È il «pane degli angeli», ma a mangiarlo sono gli uomini, i quali, veramente, grazie ad esso diventano «figli» e camminano, «pellegrini», lungo la strada che conduce «alla tavola del cielo». Ecco, questa idea dell’Eucaristia come «pane dei pellegrini», come pane del cammino, dobbiamo proprio recuperarla: se uno vuole camminare, mica mangerà solo una volta all’anno, ma deve nutrirsi spesso di quel Pane che solo può dargli la forza per affrontare le traversie della vita. L’Eucaristia non toglie la fatica, ma la motiva, la sostiene, illuminando continuamente la meta, quei «beni eterni nella terra dei viventi». L’Eucaristia non è una magia che esonera dal cammino, non offre sconti né scorciatoie, ma è nutrimento e difesa garantiti dal «Buon pastore», Gesù.
Nella poesia della Sequenza sono bene espresse anche le tre figure, i tre simboli con cui è annunciato il pane eucaristico nella storia del popolo eletto che prepara la vicenda di Gesù. La croce di Gesù viene letta come compimento di un sacrificio sospeso, quello di Isacco: davvero si può dire che Gesù «in Isacco (è) dato a morte». L’immolazione di Gesù è letta come efficace realtà prefigurata «nell’agnello della Pasqua», che veniva sacrificato ogni anno nel tempio, mentre Gesù dà la sua stessa vita fuori le mura, sul Calvario, efficacemente, una volta per tutte. Soprattutto, il testo della Sequenza svela il legame profondo tra l’Eucaristia e la «manna data ai padri» nel deserto: quel pane sceso dal cielo anticipa Gesù come «pane vivo che dà vita» che «veramente fu donato agli apostoli riuniti in fraterna e sacra cena». Perché mai il pane degli angeli «con i simboli è annunciato»? Per mostrare la continuità del progetto d’amore del Padre, che trova il suo vertice in Gesù, di cui l’Eucaristia è continuazione nella storia della Chiesa. Si comprende allora perché uno dei versi più drammatici invoca che il pane eucaristico «non dev’essere gettato» (non mittendus canibus, dice il testo latino). Non significa soltanto che bisogna avere cura delle ostie consacrate, ma che non va gettato via il dono di Gesù che ci viene fatto nel banchetto eucaristico. Deve essere non conservato ma mostrato, vissuto nella concretezza dei giorni. E questo è il senso più profondo della solennità odierna del Corpus Domini.
Ringrazio il Buon Dio per aver potuto capire attraverso Don Agostino la profondità del mistero eucaristico. Peccato che nella processione del Corpus Domini, si perda la grandezza del mistero; infatti durante la processione non c’è mai raccoglimento, e per questo dovrebbero abolire tutte le processioni secondo me.