Stanno votando il Napolitano bis. Il presidente della Repubblica credeva d’essersi congedato da Benedetto XVI, invece Ratzinger sta nella pace di Castelgandolfo mentre re Giorgio è costretto suo malgrado a tornare in sella… all’asino che Bersani gli ha lasciato in eredità. Si dice che presenterà subito un governo di larghe intese, di cui si dimostra entusiasta, però, solo il partito di Berlusconi (che questo esito lo aveva previsto e caldeggiato subito all’indomani del voto del 24 febbraio) . Il conclave della politica ha rieletto il suo Benedetto e non ha trovato la fantasia e la novità di nessun Bergoglio. Non sono tra gli entusiasti di questo esito, anche se devo riconoscere che è il male minore e che, soprattutto, è l’unica carta giocabile in questo momento per il bene non di questo o quel partito ma del Paese. A 87 anni – ce lo ha insegnato un uomo grandissimo come Joseph Ratzinger – è il tempo di restare nascosti al mondo, non di iniziare un settennato alla guida di una nazione. Il popolo italiano non può aver trovare la speranza perduta e la novità anelata in un uomo, che non è solo vecchio di anni. Chi in queste ore si lascia andare agli osanna per il Napolitano bis può anche darsi che lo faccia in preda ad un attacco di realismo politico, ma evidentemente cerca di nascondere le incognite del futuro prossimo. Napolitano avrà pure la forza di imporre un governo a chi lo sta votando, ma non può certo stabilizzare la tragica situazione che caratterizza il Partito di maggioranza relativa, il Pd, e nemmeno può calmare le urla scomposte e scellerate di Beppe Grillo (che, detto per inciso, stava già assaporando l’elezione di Rodotà in una specie di inciucio con gli elettori Pd).
Al Quirinale forse non c’era più né la falce né il martello, ma questi attrezzi non sono stati sostituiti dalla bacchetta magica. Quello che accadrà nei prossimi giorni è difficile prevederlo. Sappiamo solo quello che è successo in questi giorni. Il Partito Democratico si è spappolato nelle sue fazioni, scivolando sulla buccia di banana di una cocciutaggine incomprensibile: finché continuerà a nutrirsi solo di antiberlusconismo, il partito del centro-sinistra finirà in un tunnel in cui la luce è sempre più fioca. La politica «contro» è sempre una forma di anti-politica, e così facendo il Pd fa solo il gioco di Grillo, il quale sta cercando da due mesi di prendere il posto del Pd, proprio mentre il Pd cercava di rosicchiare qualche voto in casa M5S per un governo senza Pdl. Le dimissioni annunciate di Bersani e Bindi sono un punto a favore del movimento di Grillo.
L’alleato Vendola ha votato con i grillini il nome nefasto di Rodotà e proprio oggi ha cercato in extremis di convincere gli elettori Pd a votare per il candidato M5S. Siamo alle solite: la sponda sinistra di un partito che non ha ancora deciso di scrollarsi di dosso definitivamente le dipendenze dal vecchio comunismo è sempre calda e scivolosa. Forse soltanto Matteo Renzi può far fare al Pd un passo verso il centro dello scacchiere politico, lasciando definitivamente a Grillo e Vendola il patrimonio della vecchia sinistra. Ma la «gioiosa macchina» del partito – che sei mesi fa ha incoronato Bersani – saprà accettare, alle prossime primarie, il successo del sindaco di Firenze? E Renzi, puledro scalpitante che vuole rubare i voti moderati a Berlusconi, saprà, una volta salito in sella, ritrasformare l’asino in cavallo?
Sono domande di un futuro prossimo. Per ora, mentre Grillo sbraita di «colpo di stato» (povero mentecatto in cerca sempre di qualcosa da urlare!), attendiamo, con un misto di rassegnazione e di apprensione, la rielezione di Napolitano al Quirinale. E’ la prima volta che un presidente viene rieletto. Ed è questa, purtroppo, l’unica novità.