Ascoltare, conoscere, seguire. Sono i verbi delle pecore e del pastore. Mi viene subito in mente un’altra terna che oggi è assai più gettonata: parlare, capire, guidare. C’è una sorta di contrapposizione tra i verbi di Gesù e quelli del nostro tempo. Intanto, il primato dell’ascoltare. Oggi celebriamo la Giornata mondiale di preghiera per le Vocazioni e la parola «vocazione» indica un chiamare che abbisogna proprio di un ascoltare. Se le vocazioni oggi sono poche – quelle al sacerdozio e alla vita consacrata ma anche quelle al matrimonio – non è perché il Signore si è stancato di chiamare, ma è perché noi ci siamo stancati di ascoltare la sua voce. Lo dico in modo particolare ai ragazzi, agli adolescenti, ai giovani: la voce del Signore risuona ancora, ma manca l’ascolto. Quando ero bambino ricordo che la suora che ci faceva il catechismo ricordava spesso l’episodio di Samuele, chiamato da Dio nella notte. Io avevo quasi pensato che bisognasse aspettare una voce così, e non la sentivo. Poi ho capito che la voce del Signore che chiama è la voce del papà e della mamma, è la voce del catechista e del don. E allora ho incominciato a comprendere che la cosa più difficile non era tanto individuare quella voce, quanto ascoltarla. Nel mio caso c’è voluto un po’ di tempo, e l’ascolto è stato lungo e segnato – come, del resto, ogni vero ascolto – da domande, dubbi, resistenze.
Quindi, i movimenti necessari alla vocazione sono due: individuare la voce del Signore, che parla attraverso le persone di cui abbiamo fiducia; e poi ascoltare quanto ci dicono, in un dialogo aperto e in una riflessione seria. Ascoltare è quasi più importante che parlare, perché l’ascolto dell’altro che ci ama ci mette di fronte ad una conoscenza di noi stessi che nemmeno noi abbiamo e che ricaviamo solo dall’ascolto dell’altro. Ma poi c’è un altro punto che è necessario chiarire in questa dinamica della vocazione. Uno potrebbe pensare che, dopo aver ascoltato, giunge a capire, a capire tutto e, quindi, arriva a decidere in modo sicuro. Non è così. Come quando da bambino rischiavo di pensare che la voce del Signore sarebbe arrivata di notte come nel caso di Samuele, così si rischia di rimandare continuamente una scelta, perché si pretende di decidere solo dopo aver capito tutto. Invece, non si sceglie di seguire il Signore sulla via del sacerdozio o su quella del matrimonio perché finalmente si è capito tutto. Le parole di Gesù, da questo punto di vista, sono illuminanti e ripropongono la terna giusta dei verbi: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono». Non dunque: le mie pecore mi ascoltano, capiscono e mi seguono; ma: mi ascoltano, le conosco, mi seguono. L’ascolto fa sì che il Signore ci conosca, ed il seguire è sempre un atto di fiducia in Lui e non è la conseguenza di una comprensione perfetta. Intuisco che, per la mentalità contemporanea, questo è proprio il punto più difficile: se capisco, posso anche decidermi a seguire, ma finché non capisco tutto in modo chiaro è meglio non seguire. Così pensando, il cammino della vocazione non parte mai. Invece, il capire è il dono del seguire e non il requisito per seguire. È come se Gesù volesse dirci, con la sua immagine pastorale, che le pecore capiscono il pastore, ascoltandolo e seguendolo. In un certo senso, seguendo il pastore, le pecore attingono a quella conoscenza che egli ha di loro, partecipano della conoscenza del pastore. Seguire è l’unico modo per entrare nel mistero di Dio che chiama. Ed è una conoscenza che dura continuamente così come dura continuamente il seguire. Non si segue una volta per tutte e non si capisce una volta per tutte. Si continua a seguire ogni giorno, e ogni giorno dal seguire arriva il dono del comprendere. Ci saranno giorni più luminosi e altri più opachi, ma la strada è questa.
Per essere concreto, vorrei consigliare ai ragazzi, agli adolescenti e ai giovani che vogliono ascoltare e seguire la voce del Buon Pastore di impostare seriamente un dialogo con i propri genitori (e voi genitori, cercate di essere propositivi e disponibili, trovando il tempo basilare del dialogo con i vostri figli!) e di programmare un cammino di accompagnamento spirituale con un sacerdote: lasciarsi aiutare è il primo modo di ascoltare con le orecchie e con il cuore.