Dicono che il Conclave che si apre domani pomeriggio non durerà molti giorni. Se penso all’elezione di Gregorio X nel 1271, decisa da appena venti cardinali a Viterbo dopo ben 1006 giorni di sede vacante – tra l’altro l’essere chiusi a chiave (cum clave) venne sperimentato proprio allora dall’esasperato popolo viterbese, per costringere gli elettori a prendere una decisione – debbo riconoscere che la Chiesa di Dio di strada ne ha fatta in questi secoli. Il Conclave più lungo – dal 1900 in poi – fu quello per eleggere Pio XI (Achille Ratti) nel 1922: cinque giorni e 14 scrutini. Presto dal comignolo della cappella Sistina dovrebbe, dunque, uscire fumo bianco e poco dopo sapremo chi è il nuovo Vescovo di Roma, Papa della Chiesa universale.
In questi giorni di sede vacante i mezzi di comunicazione hanno tentato di carpire e capire due cose. Intanto, quali fossero i discorsi che i cardinali facevano nelle Congregazioni generali, per prevedere l’identikit del nuovo Papa. E poi si sono avventurati nella lista dei papabili, facendo questo o quel nome, e rifilandolo a questa o a quella cordata. Qualche articolo sembrava onestamente troppo ispirato allo stile della politica dei partiti. Ma non sono tra quanti si scandalizzano, stracciandosi le vesti, perché ci sarebbero tra i cardinali elettori delle tendenze e delle aggregazioni attorno ad un nome. Non dimentichiamoci che l’elezione del Papa – come del resto tutto quanto riguarda la Chiesa – nasce da un equilibrio tra l’azione di Dio e la decisione degli uomini. Già Tertulliano diceva che il cristianesimo è bilingue: parla le lingue degli uomini per far comprendere il linguaggio di Dio.
E’ vero che ogni cardinale elettore, prima di deporre nell’urna la scheda su cui ha scritto il nome del Papa, giura davanti all’altare della Cappella Sistina con queste parole: «Chiamo a testimone Cristo Signore, il quale mi giudicherà, che il mio voto è dato a colui che, secondo Dio, ritengo debba essere eletto». Quindi, Cristo è chiamato a testimone di una scelta fatta secondo Dio, ma il cardinale dichiara di dare il suo voto a chi egli ritiene debba essere eletto. C’è il lavorìo dell’intelligenza umana applicata alla storia in questa decisione umana fatta «secondo Dio». Ma non dimentichiamo che Dio ama guidare la storia da dentro l’uomo, in una logica di piena incarnazione. Separare troppo Dio e l’uomo non è per nulla un’operazione cristiana.
Quindi mi pare ovvio – e non c’è proprio da scaricare i soliti anatemi contro i giornali – che i cardinali parlino tra di loro e si consultino a partire dalle caratteristiche che ritengono più necessarie nel nuovo Papa, ma cercando anche un volto ed un nome a tali requisiti, altrimenti astratti. Mi pare ovvio che, conoscendo più in profondità di quanto possiamo fare noi vicende e realtà come le ultime occorse in Vaticano, giudichino come inappropriate certe candidature che provengono da esigenze difensive più che da autentico desiderio di rinnovamento. Il nuovo Papa deve essere forte? Certo, ma forte di fortezza e non di forza. Il Papa deve saper parlare più lingue possibili? Parafrasando Tertulliano, direi che ne bastano due: la lingua di Dio e la lingua degli uomini. Il Papa deve essere simpatico e avere una faccia contenta? Meglio se è anche telegenico, ma deve soprattutto trasmettere la gioia vera e saper parlare con gioia ad un mondo che riesce solo ad essere allegro. Il Papa deve essere giovane? Sì, ma soprattutto deve saper coniugare la giovinezza del messaggio cristiano e renderlo attuale. Il Papa deve essere capace di usare i nuovi mezzi di comunicazione? Sì, ma mica starà tutto il giorno a curare il suo profilo twitter o facebook… altrimenti è meglio trovarne uno più libero!
Insomma, lasciamo che ancora per poche ore i giornali e le televisioni ci informino su quello che si dice nei corridoi. Poi dalla Cappella Sistina… extra omnes! Un «fuori tutti» che suona come silenzioso rispetto di una decisione comunque umana, anche se fatta «secondo Dio». La fede di un cristiano è nello Spirito Santo, mentre agli uomini chiamati a decidere – i 115 cardinali elettori – va la nostra fiducia. Anche noi, nel nostro piccolo, chiamiamo a testimone Cristo Signore che il nome che ci sarà annunciato dalla Loggia della Benedizione della Basilica Vaticana ed il volto che di lì a poco vedremo comparire, sarà quello che, secondo Dio, riteniamo quello che doveva essere eletto.
Giovanni Paolo II scrisse un testo bellissimo sulla Cappella Sistina nella sua opera poetica Trittico Romano. E lesse in quel cum-clave, più che una condizione di clausura, «una compartecipata premura del lascito delle chiavi, delle chiavi del Regno». A me pare l’auspicio più bello, che regala anche a me, anche a noi, che viviamo nel rispettoso extra omnes una trasparente partecipazione al mistero di Dio che incrocia il volto di un uomo.