Quarta Domenica di Quaresima. La festa del perdono…

Tante volte le storie finirebbero meglio (per noi) a metà, e la seconda parte di questa parabola in effetti ci risuona fastidiosa. Il nostro finale preferito sarebbe stato quel: «E cominciarono a far festa», che, guarda caso, assomiglia molto a quel: «E vissero felici e contenti» con cui terminano tutte le fiabe. Appunto: le parabole non sono favole, in cui il lieto fine è da copione. La festa c’è, la gioia anche, ma la realtà nelle parabole di Gesù entra fino in fondo e dobbiamo sempre aspettarci un “fuori onda” che riporta in scena ciò che le esigenze della “telecamera accesa” tenevano in ombra. La realtà ha molta più fantasia della finzione. E così, anche nella storia del padre buono e del figlio prodigo, il finale strappalacrime con il ritorno e l’abbraccio viene rovinato dall’altro figlio, che non vuole partecipare alla festa del perdono perché si ritiene diminuito da tutta quella gioia che il padre ha messo in campo per il figlio perduto e ritrovato. Mi colpisce sempre il linguaggio del figlio maggiore – quello bravo, quello rimasto in casa – perché contiene il vero intendimento di Gesù nel raccontare questa parabola. Il figlio si indigna, non vuole entrare e, parlando con il padre che lo supplica di partecipare alla festa per suo fratello, non osa pronunciare la parola chiave di tutta la storia e lo chiama, invece, «questo tuo figlio». Il padre gli risponde e gli suggerisce la correzione: «questo tuo fratello». La parabola viene raccontata proprio in risposta a scribi e farisei, i quali mormoravano per la frequentazione che Gesù aveva con pubblicani e peccatori: anch’essi, come il figlio maggiore, non vogliono riconoscere la conseguenza dell’essere figli dello stesso Dio Padre, e cioè che anche i peccatori sono loro fratelli.

Dicevo della chiusura inaspettata della parabola con l’entrata in scena dell’altro figlio. Noi siamo tentati di parteggiare con le sue motivazioni per due motivi: intanto perché quelle sue parole ci sembrano ispirate al nostro cosiddetto buon senso educativo, ma poi anche perché in fondo noi riteniamo di essere i figli bravi, quelli che non hanno mai sbattuto la porta di casa e sono rimasti sempre servitori onesti di Dio nella sua Chiesa. Questa seconda motivazione può essere anche vera – anche se la mancata teatralità di una fuga da casa non basta per evitare il peccato contro il Padre celeste – ma ciò che Gesù vuole sottolineare è il modo sbagliato di stare in casa del figlio maggiore, con la mentalità del salariato, di colui che serve aspettandosi una ricompensa: non è così che si è figli, e, così facendo, si perde per strada irrimediabilmente il senso della fratellanza e anche quello della figliolanza. Ubbidire per puro timore o senso del dovere può essere pericoloso, dunque, perché sviluppa la sindrome dello schiavo – «Io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando», dice il figlio maggiore nella sua protesta – e questo atteggiamento servile non è evangelico. Il Vangelo predilige il servizio del figlio libero e non certo il servilismo del figlio schiavo. Nella trama dei rapporti conta di più un amore generoso di un timore calcolatore. Ed ecco perché è profondamente sbagliato anche il primo motivo per cui rischiamo di tenere la parte del figlio maggiore: quel cosiddetto buon senso educativo è viziato proprio da una forma di calcolo, fondato più sul timore che sull’amore. I figli si comportano bene per ottenere qualcosa in cambio, e i genitori concedono tutto ai figli per paura di perderli: il motore che muove questa strategia è il timore calcolatore e non l’amore generoso, ed il risultato che si ottiene è solo la moltiplicazione delle finzioni. Il padre della parabola non usa questa teoria e costruisce la sua casa sulla fermezza dei principi e sull’amore sempre pronto ad accogliere. Non usa il bilancino – come spesso facciamo noi, credendo che essere equanimi coincida con l’essere buoni – e regala il perdono – cioè un dono moltiplicato – al figlio in quel momento più bisognoso di amore. Mentre riacquista il figlio perduto, rischia così di perdere il figlio che credeva acquisito, ma questo rischio – che non gli impedì di lasciar partire il figlio minore – non lo fa ritornare sui suoi passi circa il perdono che gli ha ora donato. Siamo di fronte ad un padre vero, buono ma vero, solido nella verità e prodigo, generoso nell’amore. Un grande Padre è il nostro Dio!

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