Il Papa su Twitter… ma teniamo i piedi per terra!

Il Papa twitta, ed esplode l’entusiasmo. Il fatto che Benedetto XVI abbia deciso di aprire un profilo sul popolare social network è certamente un atto simbolico di una giusta attenzione della Chiesa ad abitare il mondo della comunicazione digitale. Non vorrei spegnere qualche ardore, dicendo che si tratta di un atto simbolico. Il Papa non ha un profilo Twitter come quello che abbiamo noi, comuni mortali. Noi ce lo teniamo nel telefonino, che nella tasca del giubbotto dà continuamente segnali di mail, sms, messaggi e menzioni che arrivano in ogni momento. Il Papa ha qualcuno che se ne occupa al posto suo. Quel profilo con un numero spropositato di follower è il simbolo di una presenza, di uno sguardo giustamente positivo su questa nuova realtà della comunicazione, ma non è un profilo che il Papa gestisce in prima persona. Qualcuno ha fatto credere che in questo modo egli sia raggiungibile personalmente, quasi riuscissimo a parlargli a tu per tu. Bisogna dirlo che non è così: chiunque voglia avvicinare il Papa – con una vecchia lettera tradizionale, così come con una mail ed ora con un twitt – deve passare necessariamente attraverso un filtro, costituito magari da più persone. Se io twitto ad uno dei miei comuni follower, è lui che mi legge e solo lui, e magari retwitta il mio messaggio oppure mi risponde. Questo tipo di comunicazione non sfugge ai rischi della banalità, ma è comunque diretto. Questo utilizzo del social network è praticamente impossibile, quando i follower sono centinaia di migliaia: se tutti si mettessero a fare una domanda al Papa,  egli non potrebbe rispondere, ma anche se fossero solo cento in un giorno sarebbe molto improbabile. Quindi, mi pare fuori di dubbio che il nuovo profilo Twitter del Papa rappresenta solo un ulteriore e più performante mezzo di comunicazione pastorale della Chiesa: Benedetto XVI può mandare brevi messaggi a molti utenti in ogni parte del mondo, e questi finiranno nel lungo elenco che ognuno di noi – ci sono anch’io tra i follower del Papa – vede formarsi sullo schermo del telefonino quotidianamente. Rischierà, come tanti altri, di non essere nemmeno letto.

Mi trovano d’accordo le considerazioni che padre Antonio Spadaro, direttore di “Civiltà Cattolica”, ha postato sul suo blog questa mattina in risposta a quattro dubbi sulla presenza del Papa su Twitter. Non voglio spegnere nulla del giusto entusiasmo per un Papa che parla al mondo con gli strumenti più moderni (una volta era la radio, ora è Twitter). Mi preme sottolineare una altrettanto giusta preoccupazione sul versante educativo, e lo faccio utilizzando le parole che proprio papa Benedetto XVI ha usato stamattina in Vaticano ricevendo alcuni nuovi ambasciatori ed ambasciatrici non-residenti accreditati presso la Santa Sede. Nel suo discorso ai diplomatici il Papa si è soffermato soprattutto sul tema dell’educazione, una delle principali sfide della nostra epoca che “si impartisce oggi in contesti dove l’evoluzione dei modi di vita e di conoscenza crea rotture umane, culturali, sociali e spirituali inedite nella storia dell’umanità”. Nel medesimo ambito il Papa ha ricordato anche le reti sociali che “hanno la tendenza a sostituire gli spazi naturali della società e della comunicazione divenendo l’unico riferimento dell’informazione e della conoscenza”.

Può darsi che sia scorretto contrapporre il digitale alla realtà come un mondo “finto” rispetto ad un mondo “reale”, ma qui il Papa parla di “spazi naturali della società e della comunicazione” che rischiano di essere sostituiti dalle nuove reti sociali (mi pare ovvio che il Papa abbia di mira i social network). Il Papa nel discorso di stamattina cita espressamente  la famiglia e la scuola quali “spazi naturali”, ma io penso si possano aggiungere anche la comunità cristiana, i gruppi, le associazioni, i movimenti. Rifletto spesso a quanto sia stata banalizzata, ad esempio, una parola come “amico” – e di conseguenza una realtà educativa di primissimo piano quale è l’amicizia – in quella rete che è Facebook, e come ci sia il rischio più che concreto che quella comunicazione (non finta, ma sicuramente superficiale) venga a mangiarsi tutto lo spazio temporale che potrebbe e dovrebbe, invece, essere gestito dentro una rete meno virtuale e più reale (avendo certo a cuore che non sia anch’essa finta o superficiale). Continuo a credere che l’entusiasmo digitale debba stemperarsi dentro una cura educativa alta ed impegnativa, ricordando a se stessi e a quanti vogliamo istruire ed educare che ogni strumento è tale se a guidarlo è un abile e prudente manovratore.

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