C’è una frase tratta dalla “Lettera alle donne” di Giovanni Paolo II (1995) che ho messo come esergo e dedica nel mio libro “Maria. Una vita secondo la Parola”, e che voglio trascrivere qui, oggi, nella Giornata internazionale della donna. Essa suona così: «Grazie a te, donna, per il fatto stesso che sei donna! Con la percezione che è propria della tua femminilità tu arricchisci la comprensione del mondo e contribuisci alla piena verità dei rapporti umani». Il Papa in quello scritto aveva esordito dicendo che ogni ideale dialogo con la donna non può che partire dal grazie. Ed aveva fatto seguire un elenco di “grazie” alla donna con l’aggiunta ogni volta di una parola che la caratterizza nella sua molteplice missione nella vita dell’umanità: la donna madre, sposa, figlia e sorella, la donna lavoratrice e la donna consacrata. Ma l’elenco si era come inverato definitivamente in quelle parole finali che a me piacciono tanto, perché è come se riportassero il grazie alla sua origine: «Grazie a te, donna, per il fatto stesso che sei donna!». Cioè: grazie, donna, non perché fai qualcosa di importante – che sia il tuo lavoro, o il tuo sacrificio nella vita domestica come sposa e madre, o la tua donazione totale a Dio – ma perché semplicemente e sublimamente sei donna, e sei stata pensata e voluta così, in una complementarietà all’uomo che non è tanto e soltanto dal punto di vista del fare ma sul versante originario dell’essere.
Fra l’altro, è solo su questo terreno ontologico che può essere ragionevolmente fondata anche una differenziazione dei ruoli di uomo e donna nella vita sociale e nella Chiesa stessa. Differenza che non è diversità. La parola “differenza” dice, nella sua stessa etimologia, la responsabilità – faticosa e gioiosa insieme – di portare nell’altro la propria ricchezza. E’ esattamente quell’arricchire la comprensione del mondo e quel contribuire alla piena verità dei rapporti umani cui fa riferimento Giovanni Paolo II nel suo grazie finale alla donna. Oggi, a me, uomo, pare di vedere una confusione di ruoli (addirittura di generi!) originata proprio dalla negazione preconcetta e talvolta ideologica di quella differenza ontologica che sta “in principio”, cioè nel profondo della natura umana, mascolina e femminea insieme.
Invece di annullare le differenze, bisogna valorizzarle. Sulla porta dell’umanità, mi pare di leggere come una sorta di duplice annuncio non di lavoro, ma di essere: “Cercasi uomo”, “Cercasi donna”… Io sento di avere bisogno della percezione che è propria della donna, perché i miei occhi possano vedere meglio il mondo. Ecco perché mi unisco in questo giorno a quella lunga serie di “grazie”. In modo particolare a quell’ultimo “grazie” che tutti li compendia: «Grazie a te, donna, per il fatto stesso che sei donna!».