Corriere di Como, 19 gennaio 2021
Qualcuno potrebbe farsi l’idea che democrazia fa rima con confusione. Ce n’è molta e si corre il rischio di considerarla come un danno collaterale del Covid. Invece, forse, la confusione fa parte della natura stessa delle nostre democrazie occidentali, così sensibili alla salvaguardia delle libertà individuali. Il coronavirus è soltanto entrato a scompigliare un terreno estremamente delicato, come un vento caldo che viene a spaccare un campo già arido.
Di tempo ne è passato da quel tardo pomeriggio del 23 febbraio 2020 quando tutto cominciò, con un briciolo d’ansia e una buona dose d’incoscienza: in tanti pensavamo ad una questione che si sarebbe risolta in pochi giorni, al massimo due o tre settimane. È passato quasi un anno e si parla addirittura di terza ondata. Nel frattempo, dopo innumerevoli fibrillazioni, siamo giunti sull’orlo di una crisi governativa fondata su questioni vere e giuste, finite però nel solito pentolone ove ribollono le chiacchiere politiche. E quando si arriva a questo punto, il treno della democrazia finisce sul binario della strategia e del tatticismo, che purtroppo non è un binario morto. Ciascuno resta fermo sulle sue posizioni e le ripete ostinatamente, incartando il mazzo della partita. Paradossalmente l’unico a variare è il virus, tamponato milioni di volte ma non ancora messo fuori gioco.
Per fare un esempio della confusione tipicamente democratica che ci affligge, ecco infuriare sui social la battaglia fra i due hashtag #ioapro e #iononapro. Alcuni esercenti – in prevalenza ristoratori – hanno deciso di sfidare l’ultimo Dpcm contenente le ennesime restrizioni, con l’apertura in sicurezza delle proprie attività lavorative: una sorta di disobbedienza civile, che li espone alle sanzioni previste. Pare che la maggioranza dei ristoratori, pur magari condividendo le perplessità sul provvedimento governativo, abbia preferito responsabilmente obbedire alle leggi di restrizione e tenere chiusi i propri esercizi. L’errore di fondo sta nel mettere davanti a tutto quell’«io», che finisce con lo sfilacciare il tessuto della democrazia. È chiaro che essa tutela anche il diritto ad una disobbedienza individuale (con l’accettazione di tutte le conseguenze penali) di norme ritenute ingiuste, ma se tutti dovessero privilegiare il proprio «io», si condannerebbe la democrazia alla confusione totale e, ultimamente, all’anarchia.
Un altro esempio di confusione, questa volta istituzionale, è l’ultimo capitolo di quel nefasto conflitto tra Stato e Regioni che ha caratterizzato questi mesi di lotta al Covid. Zona rossa decisa dal Governo per tre territori: la Sicilia l’ha addirittura richiesta, la Lombardia ha contestato l’attribuzione annunciando un ricorso al Tar, la provincia autonoma di Bolzano si è dichiarata zona gialla. E i cittadini non sanno più che cosa possono e che cosa non devono fare.
E che dire della confusione in atto nel settore nevralgico della scuola? Alunni che vorrebbero riprendere le lezioni, ma le scuole sono chiuse. Altri che potrebbero entrare in classe, ma ritengono che non ci sia sufficiente sicurezza. Ci sono scuole occupate per protesta e studenti che fanno didattica a distanza seduti sul marciapiedi. Forse, seguire le regole sarebbe per tutti un ottimo esercizio di responsabilità. E di democrazia.
Un contributo molto lucido alla democrazia in un momento di pericolosa confusione