GESÙ CRISTO RE DELL’UNIVERSO – Anno A
L’amore raccolto nei piccoli vasi del tempo presente, un dono di amore ricevuto da raddoppiare nell’amore donato, va riversato nei più piccoli. Dopo due parabole – le vergini e i talenti – ecco una scenografia che sembra voler anticipare il giudizio finale, ma che in realtà parla ancora e soltanto dell’«adesso». Abilmente Gesù sposta l’obiettivo sulla fine, su «allora», «quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria», ma vuole rincarare la dose sull’urgenza di «ora», quando a bussare la porta non è il giudice finale, ma è Gesù travestito da piccolo, povero, affamato, assetato, nudo, malato, carcerato, ma anche semplicemente da altro da me. Gesù è nell’altro. Gesù è nell’uomo. Il giudizio sarà sull’accoglienza e sull’amore che avremo saputo vivere nell’oggi. Sembra di capire che non ci sarà una sentenza sulla storia, ma semplicemente uno svelamento della storia stessa. Una semplice lettura di quello che noi abbiamo scritto. Il giudizio non sarà «allora», ma è «ora».
In perfetta continuità con le due parabole che precedono, questa scena sottolinea la grande responsabilità che ciascuno di noi ha nel costruire adesso il proprio destino. Ma in anticipo sul racconto della passione, che inizia subito dopo, questo racconto vuole ricordare che Gesù si nasconde nell’ultimo, nel piccolo, nel povero, nell’uomo, perché Egli si è fatto uomo, piccolo e povero, ultimo rifiutato e crocifisso. E questa strana «parabola» del giudizio finale dice un’altra cosa molto importante e la dice paradossalmente proprio con la parola che manca nel racconto.
In questa scena manca la parola «amore», quella parola che noi invece usiamo sino alla nausea. L’amore non è una parola da dire all’altro – troppo comodo, troppo facile, persino scontato – ma è una cosa che si fa all’altro nella concretezza dell’oggi. Sarebbe stato molto più poetico trovare scritto: «Avevo fame e mi avete amato…». E noi ci saremmo subito impegnati a versare una lacrima e ad amare a distanza, con la logica dei buoni sentimenti. No, l’amore sparisce come parola dentro la concretezza dei giorni.
Nella festa di Cristo Re non siamo invitati a riconoscere Gesù nella gloria, ma nel più piccolo in cui Lui si è fatto uomo ed è rimasto uomo. Scrive l’autore del blog “Il giudizio non sarà allora, ma è ora nella concretezza dei nostri giorni”. Nel discorso di Gesù si comprende come la misericordia non possa essere un semplice “sentimento” ma un gesto concreto che si fa nell’altro ora, nei giorni della terribile pandemia che genera povertà, disoccupazione, solitudine, malattia, morte. Allora il nostro gesto quotidiano assumerà un profondo valore teologico! Si aiuta il povero, il disoccupato, il malato, il depresso attenendosi (con umiltà e serietà di comportamento) al “distanziamento sanitario” proprio per rispettare il prossimo. Così ci si relaziona con Dio.
Mi ha sempre fatto venire l’orticatia sentire parlare di “tempi forti”: mi è sempre sembrato abbastanza coinvolgente ( quello che il mio cuore riesce a reggere) la ricchezza che ogni giorno reca. Quella che ho sempre chiamata la grazia dei giorni feriali, il sacramento del tempo presente. Quell’ unico momento di cui siamo pienamente responsabili. La nostra vita è intessuta di gesti di cura ( accogliere,pulire, cucinare, ascoltare, lavorare a maglia, mandare messaggi, fare telefonate…) che rendono casa quattro mura, che fanno ( possono fare) di ciascuno di noi una casa accogliente, un porto sicuro fra le incertezze. La vita è resa speciale da gesti normalissimi, alla portata di tutti, che però acquistano il sapore e il profumo nostro. Ogni giorno è per noi Natale e Pasqua. Lo stupore più grande, che ogni giorno si rinnova, è scoprire che Dio, per farci compagnia, ha scelto come luogo del suo incontro con noi ( i sacramenti), tutto ciò che già è parte dei nostri giorni: il pane, l’acqua, la luce, una tavola apparecchiata…
Brava Anna che hai colto l'”adesso”, quello che facciamo nella grazia dei giorni feriali, “il sacramento del tempo presente”. La nostra vita è intessuta di gesti quotidiani di cura: amare, ascoltare, insegnare (a distanza), accendere il riscaldamento il mattino, fare la spesa, cucinare, leggere un po’ della Bibbia in famiglia, telefonare a parenti, amici, persone in difficoltà che han bisogno di conversare… gesti che rendono la nostra casa accogliente. La vita è resa speciale da gesti normalissimi, alla portata di tutti, ma che sono, come scrive don Agostino ” la grande responsabilità che ciascuno di noi ha nel costruire adesso il proprio destino”.