Corriere di Como, 17 novembre 2020

Foto di Markus Distelrath da Pixabay
Da qualche giorno associato al Covid sbuca sempre più spesso la parola “Natale”. La sua comparsa è addirittura in ritardo rispetto agli anni normali, in cui, oltrepassato lo scoglio di Halloween, la pubblicità risuonava di musichette natalizie e la scenografia della festa più importante dell’anno era appena disturbata dai messaggi ad anticipare gli acquisti in occasione dell’ultimo arrivato nella grande famiglia dei consumi, il Black Friday. Sembrava un cliché indistruttibile, invece l’ideologia del consumismo – che nella seconda metà del secolo scorso aveva soppiantato il Natale cristiano – sta per essere rivoltata come un calzino dalla pandemia, in attesa, ne siamo certi, di riabilitarsi in grande stile non appena il virus sarà sconfitto, magari già per il Natale del 2021.
Eppure, questo riapparire del Natale nella luce crepuscolare del Covid ha un suo messaggio che faremmo bene ad ascoltare. A chi nei giorni scorsi gli domandava che ne sarà del nostro Natale 2020, il ministro della salute Speranza – con quel cognome che assomiglia ad un augurio perenne – ha risposto che è «lunare» fare previsioni. Curioso davvero questo accostamento alla luna per una festa come il Natale, così legata al ciclo del sole e che cade in prossimità del solstizio d’inverno. Il ministro forse voleva soltanto dire che fare previsioni oggi su come potremo vivere le festività natalizie di quest’anno è come stare sulla luna, è una cosa impossibile.
Invece, pur concesso che il Covid ha annullato o fortemente indebolito le nostre capacità previsionali – il che ci rende tremendamente insicuri – a me pare «solare» e non «lunare» sapere come dovremo passare il nostro prossimo Natale. Basta guardare come abbiamo passato Ferragosto e non ripetere gli stessi errori. Dopo l’altro solstizio, quello estivo, infatti, abbiamo dimenticato tutto quello che avevamo appreso durante il lockdown, confidando nel fatto che il coronavirus si sarebbe dimenticato di noi. Non è stato così. E ce lo siamo riportato in casa alla grande.
E così abbiamo dovuto riprendere a lottare contro il virus e – battaglia ancora più difficile – contro la nostra libertà, che, quando veste i panni di Narciso, ci rende più fragili di quello che già siamo. Come sarà il nostro Natale, se non vogliamo offrire nuovamente il fianco al Covid? Esteriormente sarà senza luminarie e senza bancarelle, certo senza cenoni o baraonde di piazza. Per l’economia sarà un momento difficile e per tante famiglie verrà a mancare l’essenziale guadagno e ci sarà bisogno di un aiuto non solo annunciato. I numeri delle prossime settimane ci diranno che cosa sarà meglio fare e soprattutto a che cosa dovremo responsabilmente rinunciare.
Siamo esseri desideranti e la rinuncia ci sembra un controsenso. Invece desiderare e rinunciare fanno parte della stessa dinamica umana. Quando siamo sotto il peso di una situazione oppressiva, rischiamo di sviluppare solo bisogni, perciò è fondamentale nutrire desideri. Non è la stessa cosa: mentre il bisogno ci predispone alla pretesa, il desiderio ci allena alla rinuncia. Quindi, a maggior ragione quest’anno, dobbiamo nutrire fortemente il desiderio di fare Natale, disposti però a fare grandi rinunce. Il desiderio rimarrà vivo: il virus non potrà spegnerlo, anche se nessun algoritmo riuscirà a misurarlo.
Natale è un fatto che sconvolge tutti gli schemi ed ogni anno, quando il sole raggiunge il percorso più breve nel solstizio d’inverno, mi annuncia che il Signore nasce dal grembo di una donna nella carne di un bambino. Il censimento imperiale ha fatto spostare a fatica Giuseppe e Maria a Betlemme, dove non vi era posto per Loro, e Gesù è nato in condizioni di estrema povertà. Quest’anno il Covid ha creato tanta miseria e per l’economia sarà un momento difficile. Per molte famiglie verrà a mancare l’essenziale guadagno e per loro ci sarà bisogno di un reale (non solo promesso) aiuto economico. Anche coloro che hanno conservato il lavoro o che hanno da parte risparmi non potranno, per distanziamento sociale, festeggiare Natale come gli anni scorsi. L’autore del blog mi indica però che la rinuncia non devo viverla con angoscia e che è proprio la rinuncia a farmi nutrire fortemente il desiderio di fare Natale, scrivendo: “desiderare e rinunciare fanno parte della stessa dinamica umana”.
Io dovrò rinunciare ai nipotini che abitano a Torino (“quasi” sicuramente), però farò meno fatica a difendere quel silenzio che è l’aspetto del mio Natale di sempre che prediligo. Niente tavolate ma un posto in prima fila nella stalla di Betlemme. E sarà un bellissimo Natale se nella nostra odierna Betlemme ( casa del pane) non mancherà l’Eucaristia, unico pane a rischio date le circostanze.
Che bello quanto ha scritto Anna: rinuncia alle feste natalizie, ma un posto in prima fila nella stalla di Betlemme. Questa epidemia terribile, procuratrice di miseria e solitudine, ci farà forse ritrovare il “silenzio” del Natale nella stalla, nella casa del pane, nell’Eucaristia. Non potrà avvenire alla consueta messa festosa di mezzanotte, ma in una molto semplice, celebrata in un piccolo recinto…col pensiero rivolto al pascolo, al mondo intero che sta soffrendo!