TRENTATREESIMA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – Anno A
Parabola ispirata all’etica del capitalismo? I talenti da far fruttificare e dati in misura diversa sembrano l’immagine di titoli da giocare in borsa o di danaro che deve ad ogni costo essere raddoppiato. Interpretazione senza alcun fondamento. La parabola dei talenti è in perfetta continuità con quella delle vergini. I talenti non rappresentano le capacità, tanto è vero che sono dati «secondo le capacità di ciascuno». Ci sono, cioè, bicchieri diversamente capienti, ma tutti vengono riempiti sino all’orlo. Con che cosa? Con lo stesso “materiale” di cui era immagine l’olio delle vergini, l’amore. Il talento – una misura equivalente a 6000 giornate di lavoro, vent’anni di salario – è l’amore ricevuto in dono. Ed è un dono che ci è dato per “guadagnare” altro amore, amore dato agli altri, soprattutto ai più poveri e bisognosi di amore.
La vita che cos’è, dunque? È amore ricevuto in dono da trasformare, da “trafficare” in amore donato. Nella vita si investono doni, secondo capacità differenti che, però, sono chiamate a riempirsi vicendevolmente. Sapessimo comprendere questo, le nostre famiglie e le nostre comunità cambierebbero volto. Le differenze nel dono dell’amore non sono ingiustizie, ma opportunità: sono al servizio della circolazione dell’amore. Se, invece, vengono avvertite come diversità insanabili, si crea lo spazio dell’invidia e della divisione. Se si ama, l’amore ricevuto si moltiplica in amore donato e a sua volta ricevuto: l’amore circola e si diffonde, arricchendosi proprio con le differenze. Se si ha paura di amare, l’amore ricevuto inaridisce e si perde, come un rigagnolo a cui non è stato dato un letto per scorrere.
Il terzo servo della parabola compie un gesto che è un vero insulto: restituisce il dono ricevuto. Non si fa così! L’amore non si può restituire, se non donandolo a nostra volta. Dio lo riceve “indietro” solo se è restituito dentro la trama dell’amore donato agli altri. Ma questo servo non lo sa, perché si è fatto di Dio una immagine sbagliata, come di un contabile severo, da cui riscattare la vita. Rifiuta Dio come amore e, quindi, rifiuta se stesso come dono.
Il terzo servo è come molti di noi che ci proclamiamo cristiani, ma che abbiamo paura di rischiare e conseguentemente di vivere; così restituiamo con ingratitudine il dono ricevuto. Dio ci insegna a non avere paura e si fida, proprio sino in fondo, di noi. Non è un contabile di capitale da “investire” in affari, pretende solo collaborazione nell’amore che ci dona perchè lo “investiamo” in amore verso il prossimo. I talenti non rappresentano quindi le capacità, come sinora ho erroneamente pensato (leggendo con superficialità la parabola o ascoltando alcune interpretazioni nelle omelie). Dio consegna i talenti “secondo le capacità di ciascuno”; mi chiedo: faccio fruttificare il dono di grazia in me stesso, in famiglia, nella comunità o lo lascio inaridire?
Una parabola che ci interroga. Cosa ne facciamo di tutta la Grazia che ci incorona, che quasi ci avvolge? Tutti viviamo al di sotto delle nostre regali ( proprio così) possibilità. Qualcuno fa il passo più lungo della gamba nelle cose mondane e finisce col riempirsi di de biti. Pochi osano, fidandosi di quanto Dio ci assicura attraverso la famigliarità con Lui.
Grazie don Agostino, finalmente ho capito questa parabola! Dio non è un imprenditore e i servi non sono gli amministratori delegati delle sue aziende.
Il padrone lascia nelle loro mani i suoi averi, i suoi beni e se il suo tesoro è l’amore si capisce perché venga distribuito a tutti. Il padrone si fida dei suoi servi e, forse, li mette anche un po’ alla prova, perché è a loro che dovrà affidare il suo patrimonio…. Dio mette il creato nelle mani dell’uomo.
I primi due servi non fanno la figura dei trafficoni ma dei coraggiosi mentre l’ultimo servo ha il braccino corto e non si impegna, un po’ per paura un po’ per ignavia.
Spero, negli anni che ho davanti, di contribuire almeno un po’ ad arricchire il patrimonio dell’amore e soprattutto spero di ricordare ogni giorno di mettere in pratica l’insegnamento di questa parabola