Colpo di testa 162 / Ventiquattro anni fa il contagio del Papa

Corriere di Como, 5 maggio 2020

Ventiquattro anni fa, esattamente come oggi, Como viveva una giornata storica. In un certo senso la città era blindata, ma la gente era tutta fuori dalle case in un grande assembramento che durò dal sabato sera a domenica sera e che venne sapientemente regolato, anche perché il flusso di popolo proveniva da ogni parte della diocesi. La Messa – una sola, davvero unica – fu celebrata all’aperto, le porte erano completamente spalancate e sulla piana di Lazzago si stimarono centomila presenze. Dal tardo pomeriggio del 4 maggio 1996 a Como c’era il Papa. E fu un tripudio di raduni, dal primo rumoroso convegno di bambini allo stadio, ove l’elicottero atterrò con il suo prestigioso pellegrino, sino alla grande Messa conclusiva della visita, prima della ripartenza del Papa dal campo sportivo di Grandate per fare ritorno in Vaticano.

A rivedere il film di quell’evento che coinvolse totalmente la nostra città in un susseguirsi di luoghi pieni di gente, oggi che Como sta cominciando ad uscire da un periodo di strade deserte, negozi chiusi, raduni vietati, Messe celebrate in chiese vuote, vien da pensare che la storia ci raggiunge sempre con la sua imprevedibilità e anche con la sua fantasia, capace di sconvolgere i nostri piani.

In quei giorni ricoprivo l’incarico di responsabile della Struttura Informativa che, all’interno del Comitato Organizzativo, s’occupava di regolare centinaia tra giornalisti, fotografi e addetti alle riprese televisive, ovvero alcune tra le persone cui era concesso di avvicinare di più la persona di Giovanni Paolo II. Lo scopo era garantire la sicurezza del Papa e insieme permettere agli operatori della comunicazione di svolgere al meglio il loro lavoro. Furono mesi di intensa collaborazione, gomito a gomito, per organizzare un evento complesso che doveva essere tenuto sotto controllo minuto per minuto. Avevo tra le mani uno dei primi cellulari, che permetteva solo di telefonare (e non sempre) ed era un arcaico antenato degli smartphone o dei tablet che oggi hanno in mano persino i bambini.

È passato quasi un quarto di secolo da quel 5 maggio 1996 e chissà se oggi varrebbe ancora quella gustosa definizione che Papa Wojtyla diede dei comaschi in Piazza Cavour: «ricchi, ricchi, ricchissimi comaschi». Certo, era «ricchezza della natura, ricchezza della storia, ricchezza del cuore». Ma tutti allora ne intesero anche un’altra! Forse queste settimane di pandemia, che rischiano di essere per tanti fonte di povertà economica e di insicurezza sociale, hanno messo in rilievo proprio la ricchezza del cuore dei comaschi. Significative, allora, appaiono quelle brevi soste del Papa nel suo trasferimento dal Vescovado a Lazzago, davanti agli ospedali Valduce e Sant’Anna e alla Casa Ozanam e la visita alla Casa “Divina Provvidenza”: malati, anziani e poveri, cioè tutti coloro che maggiormente patiscono gli effetti dell’attuale situazione.

Ricordo il grande entusiasmo che circolava tra la gente arrivata a Como anche con il battello e che raggiunse il luogo della Messa con la navetta ferroviaria. Quanti abbracci e strette di mano. Pure il Papa nei suoi movimenti in Cattedrale e allo stadio non lesinò l’incontro e il contatto con i tanti che volevano toccarlo. È bello oggi, a distanza di ventiquattro anni, ricordare la storia di quel contagio.

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