VENTICINQUESIMA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – Anno B
Gesù e i discepoli camminano insieme. Ma l’unità tra di loro è solo apparente. Quando giungono a Cafarnao, ancora una volta viene a galla la loro incomprensione del destino che Gesù va annunciando. Egli parla di un destino di rifiuto, morte e risurrezione. Essi discutono su chi tra loro fosse il più grande. Proviamo ad immaginare come si sia sviluppata concretamente questa discussione. Pietro poteva vantare l’elogio di Gesù dopo la professione di fede («Tu sei la roccia»!), Giacomo il maggiore era parente di Gesù, Giovanni era il discepolo più amato, Giuda teneva la cassa, e così via. Insomma, se valesse un criterio teologico, Pietro sarebbe il più grande; se valesse un criterio di sangue, in tal caso sarebbe più grande Giacomo; ma se prevalesse un criterio affettivo, vincerebbe Giovanni; se poi il criterio per stabilire chi è il più grande fosse economico, allora comanderebbe Giuda, che decide sui soldi. Ma quale criterio è giusto? Come ci rispecchiamo bene in questi discepoli che vanno sulla stessa strada di Gesù e con Gesù! Anche noi camminiamo con Lui nella sua Chiesa, e magari buttiamo via il tempo in sterili discussioni circa chi è il migliore, chi è il più grande, quale gruppo è più bravo, quale associazione o movimento è in pole position.
Tipiche discussioni ecclesiali, purtroppo. E che cosa fa Gesù? Non c’è alcuna inquietudine in Lui, non s’arrabbia affatto, ma esprime con chiarezza un concetto chiave e poi conferma le sue parole con un gesto, un simbolo posto in mezzo ai Dodici. Il concetto è questo: «Se uno vuol essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti». Il gesto sta nel prendere un bambino e abbracciarlo, dicendo: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me».
Quindi, è giusto voler essere primi, ma bisogna esserlo evangelicamente. Gesù non immagina affatto un mondo appiattito verso il basso; sa che vi sono delle differenze, e non solo sociali, ma anche culturali ed umane. Gesù accetta sino in fondo la logica della competizione, solo le dà una sua regola ben precisa: «Vuoi essere il primo? Bene, sii il servo di tutti!». Il servizio è il criterio per valutare il primato dell’uno sull’altro: uno primeggia in quanto serve, e più serve, più primeggia!
Bisogna ammettere che è una logica assai strana quella di Gesù. È una logica che, però, non ha nulla a che vedere con forme di falsa umiltà o di buonismo (assai diffuse oggi, ma forse già al tempo di Gesù). La conferma viene proprio dal gesto di abbracciare un bambino: esso non ha il significato di indicare che bisogna restare bambini per essere i primi. No, bisogna crescere e diventare adulti, non restare degli eterni bambinoni! Il gesto di Gesù fa riferimento alla condizione esistenziale del fanciullo, che non è tanto l’innocenza (i bambini sono capaci di male!), quanto la dipendenza. Addirittura, nell’ambiente palestinese il bambino era considerato come un soggetto privo di diritti, debole, fragile. Accogliere un bambino significa accettarne e amarne la fragilità, la dipendenza. Diventare come bambini – lo chiederà esplicitamente Gesù ai suoi discepoli – significa accettare e amare di essere totalmente dipendenti da Dio. Ed è una delle operazioni più faticose nella nostra vita, perché vogliamo avere le redini saldamente nelle nostre mani e facciamo fatica ad accettare ciò che esula dai nostri schemi. Il bambino, invece, dipende. Appena si sveglia, cerca le braccia della mamma e del papà.
«Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome», dice Gesù, ponendo al centro un bambino e abbracciandolo. Quel bambino è ogni cristiano che ha accettato di mettersi sulle orme del suo Signore. Pensate: non conta nulla, è un bambino, è un «dipendente», eppure che cosa può sperare di meglio che stare tra le braccia del suo Signore, del suo Creatore, del suo Redentore? Questa è la sua gioia, la sua sicurezza, la sua unica forza: essere nelle braccia di Cristo, come un bambino tra le braccia della mamma o del papà. Impotente, ma sicuro. Ecco, il messaggio della pagina evangelica di oggi è questo, e dovrebbe aiutarci ad essere veramente la Chiesa del Signore Gesù.