Corriere di Como, 30 gennaio 2018
A poco più di un mese dall’appuntamento elettorale, qualche tessera comincia ad andare al suo posto dentro il puzzle di migliaia di pezzi che è la politica italiana. Sappiamo già che le prossime cinque settimane non ci porteranno ad avere davanti agli occhi un quadro definitivo. La situazione è magmatica e lo sarà quasi certamente anche il 5 marzo. Il partito del non voto, se si votasse oggi, sarebbe il primo partito. Ciascun leader spera naturalmente di convincere a proprio favore gli indecisi, ma io ho il sospetto che, piuttosto che vedere confluire questi voti nelle coalizioni avversarie, in cuor suo ciascuno spera che restino indecisi, tanto i seggi si assegnano comunque sui voti espressi. Certo, nessuno si lascia sfuggire questa confessione a telecamere accese, ma nel chiuso delle stanze in cui si tramano le strategie elettorali un simile ragionamento non è peregrino.
Quando ho votato per la prima volta, ricordo che un ritornello ricorrente era questo: non si deve votare per i partiti, ma per le persone. E qualcuno già allora vaticinava, però, che anche le persone più brave, poi, una volta sedute in Parlamento, sarebbero state fagocitate dalla logica perversa decisa dalle segreterie dei partiti. Oggi mi pare che il riferimento alle persone – ovvero ai candidati – manchi quasi del tutto. O meglio: soprattutto in questi giorni si parla di candidati eccellenti, figure di spicco della società, personaggi capaci e preparati – e ciascuno dice di averli lui, nelle sue liste – ma sono nomi funzionali ai programmi dei partiti (a cui, magari, non appartengono e a cui non sono nemmeno iscritti). Quindi: battitori liberi, che mettono la loro faccia accanto ad un simbolo.
Per giudicare le persone, bisognerebbe intanto che i candidati fossero radicati nel territorio. Ma è invalsa la strategia elettorale dei cosiddetti “collegi sicuri” per premiare con un posto in Parlamento chi nella passata legislatura si è comportato bene. E così anche il tanto invocato legame del parlamentare con i suoi elettori e con il suo territorio va a farsi benedire.
Mi ha fatto sorridere un poco l’appello venuto dalle gerarchie ecclesiastiche a non votare per partiti che fanno promesse che non potranno essere mantenute. Mi è apparso quasi come un ironico appello a votare… scheda bianca. Ma posto che in politica si mantengano le promesse – lo sta facendo, ad esempio, Trump negli Stati Uniti – che cosa faccio se accanto ad una promessa impossibile ma di un contenuto condivisibile c’è un’altra promessa possibile ma di qualcosa che discorda dai miei valori? Talvolta farebbe comodo avere a disposizione, invece che un voto, due mezzi voti!
Mano a mano che ci avviciniamo al 4 marzo, credo che risentiremo l’appello – di montanelliana memoria – a votare, turandosi il naso. Ovvero, non scegliere “qualcuno” in modo convinto, ma optare per “qualcosa” che faccia da argine alla perniciosa vittoria di “qualcun altro”. Piacerebbe per primo a me essere smentito, ma se dovessi votare oggi, userei anch’io il metodo di Indro…