Autorità ed educazione

QUARTA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – Anno B

Gesù entra nella sinagoga e si mette ad insegnare. La sinagoga era il luogo ove nel giorno festivo – per gli ebrei era ed è il sabato – la comunità si ritrovava per ascoltare la Parola di Dio, che veniva poi commentata dagli scribi. Anche Gesù insegna, e lo fa in un modo che genera stupore. Il che può significare che gli scribi solitamente non stupivano affatto! L’evangelista Marco ci suggerisce qual è la differenza tra Gesù e gli scribi: egli insegnava «come uno che ha autorità». Ovvero: gli scribi ripetevano insegnamenti altrui e lo facevano in un modo che annoiava pure, erano dei ripetitori di messaggi senza partecipare veramente e personalmente a quel momento. Gesù, invece, insegnava con autorità, cioè sapeva dare un’impronta personale a quanto diceva: non parlava di qualcosa che doveva dire in forza del suo ministero, ma metteva tutto se stesso nella trasmissione di quel contenuto. Ci metteva l’anima, e non solo la voce! Se volessimo dirlo con una parola che utilizziamo spesso, Gesù era un educatore, non un semplice insegnante che trasmette – talvolta noiosamente – cose non sue.

Per Gesù insegnare non è soltanto un fatto culturale, un fatto tecnico, una questione di trasmettere delle nozioni, ma è soprattutto un fatto educativo: Gesù insegna per parlare al cuore di chi ascolta e per metterlo nelle condizioni di pensare e agire di conseguenza. Gesù insegna per agevolare la conversione di chi ascolta. Questo è educare: far sorgere un contatto appassionato con la Verità e non soltanto con le mie quattro idee. La stessa parola «educare» (e-ducere = condurre fuori) lascia intendere che maestro vero è solo chi sa usare del suo insegnamento come di un’occasione perché possa parlare la Verità che sta già dentro il cuore di ogni uomo.

L’educazione, quando è vera, quando apre alla Verità, è un’azione che genera stupore. Ma genera anche sospetto e rifiuto. Perché la Verità non accetta convivenze con la menzogna, che si è annidata nel cuore dell’uomo. Quando Gesù parla, il diavolo sente che il suo spazio d’azione diminuisce. Al diavolo dà fastidio Gesù, perché egli, educando come uno che ha autorità – per forza, è Dio in persona! – gli rovina la piazza, gli ruba i discepoli, gli porta via le anime. «Sei venuto a rovinarci!»: così grida l’uomo posseduto da uno spirito immondo. Gesù lo sgridò «e lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui». L’educazione di Gesù è talmente forte che riesce a… tirar fuori anche il diavolo dall’uomo, a mandarlo via.

Che cosa c’entra il diavolo con l’educazione? C’entra! Questo racconto evangelico è una «dritta» a chiunque voglia essere educatore. Non spaventarti se l’accoglienza non è entusiasta: spesso la reazione ad un maestro autorevole è di rifiuto. Un maestro vero è esigente, domanda di essere seguito e non solo lodato. Non basta lo stupore, come quello della gente che affolla la sinagoga di Cafarnao: dietro lo stupore ci può essere ancora una lode vuota, un’ammirazione che non genera alcuna conversione. Ecco perché Gesù, con il gesto dell’esorcismo che segue il suo autorevole insegnamento, vuole che allo stupore s’aggiunga il timore, che sa generare qualche domanda in più: «Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: Che è mai questo?…».

Ecco perché, quando l’azione educativa incontra il rifiuto, deve continuare. Educare significa proprio questo: innescare nel cuore di colui che è affidato alla nostra cura la miccia di un ripensamento, di una crisi salutare; farlo pensare, costringerlo a decidere, prendendo in considerazione anche la nostra proposta. Educare significa anche non avere paura di infliggere una sofferenza. Lo spirito immondo se ne va, «straziando» l’uomo che ne era posseduto. L’educazione comporta sofferenza. Chi ama tanto, sa correggere, facendo soffrire se è necessario. Chi ama poco, non fa che lamentarsi, diviene pungente, punisce con il silenzio, con l’astio, addirittura con la calunnia; ma il rimprovero diretto non emerge perché il suo cuore è fiacco. Solo chi ha a cuore veramente la vita delle persone, trova il coraggio di esercitare quella sorta di chirurgia spirituale, che, per sanare la parte malata, è disposta a tagliare se necessario e a far soffrire. Così che Dio – la Verità – possa guarire.

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