Colpo di testa 56 / Baby-gang e aggressioni. Il ruolo di scuola e famiglia

Corriere di Como, 16 gennaio 2018

Si moltiplicano i casi di aggressione da parte di bande di minori nei confronti di adolescenti. Come spiegare questo fenomeno? Intanto, nel regno del male e specificamente in certi episodi criminosi, vige la regola della mimesi: la notizia di aggressioni – così come accade con i suicidi, ad esempio – offre un supplemento di “coraggio” a delle menti che sono già orientate verso azioni simili. La pubblicità mediatica favorisce il moltiplicarsi dei casi: c’è chi ama sapere che in televisione si sta parlando proprio di lui e della sua bravata. Gli stessi mezzi di comunicazione, poi, diventano più sensibili a dare notizie che magari sarebbero ordinariamente rimaste nell’ombra. Insomma, il meccanismo della comunicazione è delicato e bisogna essere attenti a non innescare l’imitazione, così come non si devono assolutamente favorire l’omertà e il silenzio.

Altri due fattori che entrano in gioco nel fenomeno delle baby-gang sono la dinamica di gruppo e l’aggravante della malavita organizzata. Ragazzi che, magari, presi da soli, non sarebbero in grado di compiere un’aggressione, messi insieme nel “branco” trovano facilmente la via della violenza: è il fenomeno della cosiddetta “banda”, che può interessare già ragazzi di età inferiore ai 10 anni. Laddove, poi, il territorio è segnato da mafie o emarginazione, l’aggressione tra adolescenti rischia di essere un biglietto da visita per farsi notare da qualche adulto o il modo per ricopiare il mondo dei grandi: alcuni dei fatti avvenuti a Napoli potrebbero essere ricondotti al tessuto camorristico della città, mentre episodi registrati a Torino fanno pensare a comunità di nordafricani non perfettamente integrati. Le analisi come al solito si sprecano e generano anche polemiche sul terreno di una politica sempre più estremizzata.

Sarà un mio colpo di testa, ma a me pare che il fenomeno di cui parlano giornali e televisioni in queste settimane debba essere inquadrato come punta di un iceberg che riguarda un ben più esteso mondo dei nostri adolescenti e giovani. Detto con uno slogan riassuntivo – quindi, senza voler generalizzare e salvando tutte le lodevoli eccezioni – la scuola ha perso la presa e la famiglia ha rinunciato ad educare. Il posto lasciato vuoto è stato occupato da un immenso bacino, virtuale ma efficace, che trasmette immagini, slogan, messaggi, stereotipi, modelli di comportamento e valori/disvalori che si impadroniscono di cuori e cervelli vuoti e fragili. C’è di tutto, ma manca un criterio di giudizio, che invece deve essere dato, anche solo per poter essere rifiutato.

Il vero lavoro educativo con gli adolescenti è faticoso, quasi mai premiante sull’immediato e quasi sempre controcorrente, e gli adulti – posto che non siano semplici adolescenti un po’ cresciuti – non lo vogliono o non lo sanno fare e preferiscono delegare (ma a chi, poi?) o giocare a fare gli “amiconi”, eternamente aperti su tutto e propositori di niente. Quando si arriva alla violenza gratuita, si è ormai alla soluzione finale. Ma tanti drammi si consumano in una normalità diffusa e ancora più preoccupante, in cui a regnare sono solo confusione e smarrimento.

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