Colpo di testa 53 / C’è anche chi chiede la carità della cultura

Corriere di Como, 12 dicembre 2017

Stavolta il colpo di testa lo faccio nella mia porta. Lo so, si chiama autogol, e lo fanno i difensori maldestri e sfortunati, per un eccesso di zelo. A dire il vero, io presto solo la testa per girare il pallone che mi è giunto dal solito soggetto divisivo, forse un po’ isolato, sicuramente inascoltato, uno che sta vicino al corner insomma. Ve ne sono anche nella mia squadra, di solito stanno in panchina, ma qualche minuto in campo l’allenatore glielo deve far fare anche a loro. Mi è arrivata una mail regolarmente firmata, stile laicale, con quella libertà cioè che non si riesce più a respirare in ambienti troppo clericalizzati, in cui il «pastoralese» ha preso il posto del «teologhese» (e talvolta non c’è più nemmeno lo spazio di una parola, c’è solo un silenzio compiacente). Cantava Celentano per dipingere la solitudine più nera: «Neanche un prete per chiacchierar». Ecco, lui, il mio interlocutore, ha la fortuna di avercelo. Mi ha scritto proprio ieri, così (ho dovuto omettere qualcosa).

«Caro don Agostino, ci conosciamo da tanto tempo e con te posso essere schietto. Sono passato dal Centro Pastorale Cardinal Ferrari e ho visto i tendoni piazzati nel secondo chiostro. Devo confessarti che mi piange il cuore. E non perché finalmente ci sia una accoglienza più degna per dei disperati che stavano in un parcheggio inutilizzato. Lo sconforto mi ha preso, perché questo nostro Centro non ha più un’identità, è tutto e non è niente di quello che doveva essere o poteva essere. Nacque come Seminario per formare i preti. C’era anche una grande chiesa, poi abbattuta. (…) Divenne Centro Pastorale per accogliere le associazioni laicali. Ma era troppo grande, e siamo diventati in pochi! Capisco, questo nostro mondo cammina sui soldi, e anche quelli sono pochi. Pochi come i grandi ideali che nella Chiesa sembrano essere diventate utopie: non hanno più un luogo per esserci! Cerco di spiegarmi, e scusami se noterai un po’ di sana polemica. Lo Stato si accorge della Chiesa quando ha bisogno di un supplente sociale, di qualcuno che realizzi e gestisca mense e dormitori. Quando si tratta, ad esempio, di riconoscere il lavoro prezioso delle scuole cattoliche, allora la Chiesa torna ad essere sull’altra sponda del Tevere! Ma anche noi abbiamo abbandonato la sponda della cultura, e in qualche caso sembriamo ridotti a una perfetta “organizzazione non governativa” che gestisce le emergenze sociali. (…) Non troviamo il coraggio di investire energie per dare un po’ di profondità ai nostri cristiani prosciugati dall’individualismo e – scusami se lo dico – appiattiti nel solidarismo. Non voglio creare una guerra tra la carità e la cultura, ma a maggior ragione a me pare che oggi la prima carità di cui abbia bisogno un popolo di Dio, avvizzito in un qualunquismo che non sa più di niente, sia la carità della cultura. E la mia Chiesa non è più capace di farla, prima di tutto a se stessa! Mi piacerebbe conoscere come la pensi tu (…)».

Naturalmente al mio amico ho dato una risposta. Che cosa ne penso? Piacerebbe anche a voi saperlo? Sarò clericale, ma non ve lo dico. Ho già fatto autogol. Ma alla segretezza del mio “confessionale” mail ci tengo!

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