Un cuore che testimonia

TERZA DOMENICA DI AVVENTO – Anno B

Oggi la Parola di Dio – in particolare la seconda lettera – ci regala preziose informazioni circa il modo di attendere. San Paolo parla di un’attesa del Signore contrassegnata da tre atteggiamenti concreti: la gioia, la gratitudine, la preghiera.«State sempre lieti». Solo la gioia garantisce che si possa essere lieti sempre. Il piacere e l’allegria sono momentanei, legati ad alcuni momenti belli, che irrimediabilmente passano. La gioia, invece, è una dimensione costante che può abitare il cuore anche nei momenti difficili. Come si fa a stare sempre lieti? Ciò che conta è il motivo della nostra gioia, e san Paolo lo esplicita in un altro testo in cui invita a rallegrarsi sempre, perché «il Signore è vicino».

«In ogni cosa rendete grazie». La capacità di gratitudine è una delle caratteristiche umane che dovrebbero contraddistinguere il cristiano nel mondo. Non perché chi ci ha gratificati abbia bisogno della nostra gratitudine, ma soprattutto perché serve a noi dire grazie, per avere della vita una visione diversa, sentendola come un dono continuo. Non: «tutto ci è dovuto», ma: «tutto ci è donato». San Paolo anche in questa seconda esortazione è molto esigente: come aveva detto di essere «sempre» lieti, qui invita a rendere grazie «in ogni cosa». Come a ricordarci che ogni situazione ha in sé un segno incancellabile di positività, perché ogni cosa contiene l’impronta di Dio che passa.

«Pregate ininterrottamente». Riusciremo nell’impresa cristiana della gioia e della gratitudine se sapremo metterci in un clima di preghiera incessante. Certo, se volesse dire che dobbiamo sempre dire le preghiere, non avrebbe molto senso. Ma vuol dire che la preghiera deve essere l’anima della nostre giornate. Sant’Agostino diceva che la preghiera non è tanto un discorso fatto di molte parole, ma una legame affettivo con Dio che si prolunga nel tempo. Se pregare è affermare il riferimento della nostra vita a Dio, allora l’unico modo vero di pregare è ininterrottamente.

Che il Natale di Gesù sia vicino lo capiamo da una tipica figura dell’Avvento che la liturgia ci ha già presentato domenica scorsa: Giovanni Battista. La pagina odierna tratta dal vangelo di Giovanni lo presenta come «voce che rende testimonianza». Che cosa c’è di più passeggero della voce? Mentre io vi parlo risuona in questa chiesa la mia voce. Ma a raggiungere le vostre orecchie – e, si spera, il vostro cuore! – non è tanto la mia voce ma sono le parole che vi dico con la mia voce. La voce passa, la parola resta; la voce è strumento di comunicazione, la parola è ciò che viene comunicato. Giovanni Battista, affermando di essere «voce», richiama l’attenzione sulla Parola che è Cristo. La «voce» è vestita di peli di cammello e magari rischia nella sua ruvidezza di suscitare in noi qualche perplessità. Ma non è sulla «voce» che dobbiamo appuntare la nostra attenzione, ma sulla Parola che essa grida, Parola di Dio fatta carne. Giovanni Battista è un segnale perennemente puntato su Gesù. A pensarci bene, la definizione del Battista come «voce» dice la condizione di ogni cristiano: ciascuno di noi è chiamato con il battesimo ad essere «voce» della Parola, testimone di Gesù Cristo.

Ecco perché il nostro itinerario di Avvento s’arricchisce con un nuovo cuore ed è un cuore che testimonia. Non basta vegliare, cioè restare svegli in attesa del Signore. Non basta preparare la strada. O meglio: preparare la strada significa concretamente essere voce che testimonia Gesù. Bisogna che si veda in qualche modo che noi siamo suoi discepoli e che aspettiamo il Natale perché attendiamo Lui. Le occasioni per esercitare il nostro cuore alla testimonianza non mancano. Non perdiamole! Non nascondiamoci nella massa, ma troviamo il coraggio di dire ad alta voce ciò in cui crediamo. Possiamo fare del bene agli altri, ma certamente lo facciamo a noi stessi. Il compito di questa terza settimana è dunque chiaro: cerchiamo di organizzare un’azione che testimoni la gioia vera del Natale, così da essere in grado di contagiare coloro che incontriamo e di farli riflettere sul significato profondo di questa festa che rischia di naufragare in un mare di tante cianfrusaglie.

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