VENTESIMA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – Anno C
Con le sue parole così forti Gesù vuole dirci che scegliere Lui può comportare qualche attrito sin dentro la trama della propria famiglia. E lascia intendere che bisogna scegliere Lui anche se una simile decisione rompe la cosiddetta «pace in famiglia» a cui siamo molto attaccati. Mi viene in mente Francesco d’Assisi con quel suo gesto di restituire i vestiti al proprio padre, un gesto che il santo compì non con astio nei confronti della sua famiglia ma con il cuore colmo del «di più» che egli sceglieva attraverso quel gesto. Mi viene in mente un altro giovane di cui parla il vangelo, quello che ebbe la fortuna di essere fissato e amato da Gesù, ma che preferì stare con i suoi beni. Francesco fu preso per matto quel giorno: lasciare una vita agiata e sicura, per che cosa poi? Per un sogno? Il giudizio popolare sarebbe stato sicuramente più benevolo con il giovane del vangelo: meglio un po’ triste, ma nella pace dei propri affetti! Tante volte il cosiddetto «buon senso» va contro il vangelo. Dobbiamo ricordarcelo, noi che lo invochiamo ad ogni occasione per pararci il fianco dall’accusa di essere poco coraggiosi nelle nostre scelte. Ma dove sta il confine tra il coraggio e la prudenza? Gesù lo pone nel cosiddetto «fuoco» che egli dice di essere venuto a portare sulla terra. Gesù è un incendiario, non un pompiere; è un entusiasta, non un rassegnato; è uno di quei pericolosi sognatori diurni che rischiano di realizzare i loro desideri, anche se la via per farlo non è in discesa, anzi è segnata da tanti ostacoli.
La prima lettura ci ha fatto conoscere un altro personaggio dalla tinte in bianco e nero, il profeta Geremia. Egli preferisce continuare a dire la verità piuttosto che modificare il suo messaggio così da renderlo accettabile al palato dei suoi capi. Finisce nella cisterna, in mezzo al fango, con il rischio di morire di fame, ma non spegne affatto il fuoco che il Signore ha acceso nel suo cuore. Un altro «matto» come Francesco di Assisi! L’autore della lettera agli Ebrei lascia intendere che quando uno è discepolo di Gesù, deve correre tenendo fisso lo sguardo su di Lui e solo su di Lui. Il peccato intralcia – eccome – eppure non bisogna perdersi s’animo. Dice: «Non avete ancora resistito fino al sangue nella lotta contro il peccato».
Ecco: a che punto è la nostra lotta contro il peccato? Il fuoco di Gesù è acceso oppure sonnecchia perennemente sotto la cenere? Come al solito sono domande di fronte alle quali ci viene da chinare il capo. Può succedere che sino al sangue sia la nostra lotta per emergere e accaparrarci il posto migliore! Così come può accadere che il nostro fuoco cristiano si riduca al lumicino fumigante quando si tratta, magari in pubblico, di difendere Gesù e il suo vangelo in una discussione. Naturalmente per garantire il quieto vivere. La pace in famiglia!
Già. Il fuoco. Noi sappiamo bene che il fuoco scalda e illumina. Ma conosciamo anche i suoi effetti di distruzione. Come essere cristiani dal fuoco acceso, ma che sia un fuoco che, bruciando, illumina e scalda? Intanto, questo giudizio deve essere fatta «tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento». Eppure Gesù si fida di noi. Lascia nelle nostre mani le scelte. È disposto a pazientare se la nostra lotta contro il peccato conosce momenti di pausa e affievolimento.
Se lasciamo sullo sfondo personaggi come Geremia o san Francesco, non è difficile accorgerci che il fuoco di Gesù deve essere tenuto acceso in condizioni più quotidiane anche se non meno eroiche. La vita di tutti i giorni nella trama monotona della vita familiare è quella più difficile da accendere. E accenderla non comporta particolari bagliori. C’è un fuoco che arde nel nascondimento. Brucia, senza divampare. E, come quello che sta dentro la stufa, è il più prezioso perché è un fuoco che scalda senza clamore. Il cuore è la caldaia. E si può essere incendiari come Gesù ci vuole, anche stirando bene una camicia o accettando di buon animo le piccole traversie della vita.