La Sapienza gioca… con Dio

SANTISSIMA TRINITÀ – Anno C

FogliaLa Santissima Trinità è una di quelle «molte cose» di cui non siamo capaci di portare il peso senza il dono dello Spirito? Forse, ma non è una «cosa» e il pensarla come un peso non è certo il modo migliore per amarla e conoscerla. Ci lasciamo prendere, allora, dalla leggiadria misteriosa con cui la prima lettura ci conduce per mano dentro il mistero di Dio in un modo pienamente umano. Quando l’autore del libro dei Proverbi posa il suo sguardo sulla bellezza del creato, subito immagina una figura particolare accanto a Dio Creatore, una figura di genere femminile, la Sapienza. Essa è generata in Dio e da Dio prima che tutto prenda quella forma bellissima che noi chiamiamo «creato». È come una figlia prediletta, che ha l’unico compito di affiancare e rallegrare Dio mentre Egli chiama all’esistenza tutte le cose. Si direbbe che la sapienza è compagna di gioco di Dio: è la sua delizia e si rallegra davanti a lui in ogni istante.

Pensiamo ad una scena che potrebbe esserci familiare. Bambini in una casa. Giocano, e, giocando, fantasticano, costruendo quasi i loro giochi, dando forma alle loro fantasie in un modo che solo i piccoli sanno fare. È tipico dei bimbi occupare così il tempo. Ebbene, il papà e la mamma sono lì accanto e godono di questa presenza, non riescono a farne a meno, spesso tendono l’orecchio da lontano e si rallegrano stupiti di questi loro bimbi che li allietano con i loro giochi e le loro fantasticherie. Il padre e la madre hanno bisogno dei loro bambini, in questa loro capacità di dilettare la vita con una gratuità totale. E sono proprio quelle creature che essi hanno generato, quale frutto del loro amore sponsale. L’amore è sempre un travaso misterioso: credi di dare e ricevi, e se doni, mentre doni, già ricevi. L’autore biblico, quindi, immagina la Sapienza come una donna che gioca da sempre alla presenza di Dio Creatore e fin dall’eternità lo allieta. È una presenza gioiosa, serena, che aiuta a creare e che fa contemplare poi il creato con occhi luminosi, capaci di coglierne la bellezza e lo splendore.

Forse dobbiamo modificare la nostra immagine più comune di Dio Padre come quella di un vecchio barbuto, seduto sulle nuvole come su un trono, mentre tiene in mano il globo terrestre. Così lo disegnano spesso i bambini. No. È un Dio che gioca con la Sapienza da sempre, e sarebbe bello far disegnare ai bambini questa scena altamente rivelatrice del mistero profondo di Dio. Perché la Chiesa ha scelto questa pagina nella festa della santissima Trinità? Intanto, per farci modificare il nostro modo così razionale e freddo di affrontare il mistero, come una equazione da risolvere. Ma c’è un altro motivo. Nella tradizione cristiana Gesù è stato visto proprio come la Sapienza di Dio in forma umana. È Lui quella figura che, nell’immaginazione dell’autore biblico, affianca il Padre nella creazione. È Lui che si rallegrava davanti al suo papà sin dall’eternità, e, fantasticando come un bimbo che costruisce i suoi giochi, lo ispirava nella creazione della terra e del cielo, delle sorgenti cariche d’acqua, delle prime zolle del mondo, delle prime nubi condensate nell’alto, e dei limiti posti sulla spiaggia alle acque del mare. Come un architetto. Cioè, come colui che sta all’origine di ogni fare.

Ritornando alla nostra immagine familiare, è bello pensare che i bambini siano, nel loro giocare e fantasticare e dilettare gli adulti, i veri architetti della famiglia, coloro che stanno al principio di ogni autentica costruzione, gli ispiratori del fare dei grandi. Tale è – nel mistero di Dio – il ruolo di Gesù Cristo, il Figlio, nei confronti del Padre: è colui che esprime – anche incarnandosi e diventando uomo come noi – la gioia di vivere dello stesso Dio, e – in questa gioia, in questo suo giocare dall’eternità – sta  all’origine della stessa creazione di tutte le cose. Dio Padre crea – così ci viene suggerito – guardando e amando suo Figlio mentre gioca. E la creazione che esce dalle sue mani porta l’impronta di questo sguardo e regala anche a noi, che siamo sue creature, la medesima gioia e lo stesso piacere di vivere. Forse, se ci trasciniamo talvolta stancamente nelle nostre giornate, è perché continuiamo a voler vedere Dio come un vecchio barbuto che dall’alto delle nubi ci tiene in pugno. Se lo gustiamo nella bellezza e nella semplicità di un amore paterno, materno e filiale, entriamo davvero nel mistero del suo Amore.

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