DOMENICA DI PENTECOSTE – Anno B
Inganna questa parola: Spirito. Ne abbiamo fatto la nota caratteristica della religione, che è, per sua natura, una cosa spirituale. Da contrapporre, quindi, alle cose materiali. Una certa carta d’identità del cristianesimo lo presenta come la religione dello Spirito per eccellenza, e la solennità odierna sembrerebbe dar ragione a questo luogo comune: la Pentecoste rappresenta la pienezza della Pasqua, e lo Spirito è la presenza attuale di Dio in ogni luogo e in ogni tempo. Mi spiace disilludervi, se questa è anche la vostra opinione. È troppo semplicistica, comoda nel suo dividere la materia dallo spirito, e nell’assegnare a quest’ultimo uno spazio sì alto ma etereo, impalpabile, disincarnato. E qui sta il punto: il cristianesimo è la religione dell’incarnazione, e se lo Spirito lo intendiamo come principio di disincarnazione, allora non ci siamo proprio. I conti non tornano. Lo Spirito che noi diciamo Santo è lo Spirito di Gesù Cristo e, quindi, ha a che fare per sempre con la carne umana. Se ci vendono una spiritualità disincarnata, ebbene, statene certi, non è cristiana. È una paccottiglia di belle parole, magari luccicanti, ma lo Spirito è un’altra cosa. Forse la poca incidenza storica che i cristiani hanno oggi dipende proprio da questo: credono che essere cristiani sia una questione spirituale, e allora cominciano a tenerla relegata in una dimensione astratta, un po’ come se essa riguardasse una realtà distinta da quella di tutti i giorni, una somma di cose da credere, di giaculatorie da recitare, di gesti festivi da compiere, che hanno poco a che fare con la vita di tutti i giorni, la vita vera. Lo spirito è sì il piano alto della casa, ma avete mai visto certi solai? Nulla è più alto nella casa (se si eccettua il tetto!), ma anche nulla è più disordinato e ininfluente nei confronti della vita della casa che si svolge sotto, praticamente indisturbata… Lo Spirito è evidentemente un’altra cosa, bene incarnata, che abita in un “alto” che vuole dire, però, “dentro”, “profondo”. Incarnato, appunto, perché la carne è la manifestazione più alta dello Spirito. Non per niente il miracolo della Pentecoste è dato da una comunicazione perfetta: gente che sente parlare nella propria lingua, gente che capisce e che ascolta e apostoli usciti dal… solaio per frequentare la piazza. Ma lo Spirito non si vede! Non si vede come soggetto autonomo, perché Lui è “dentro” gli uomini ed è quello il modo di stare in “alto” per Uno che è disceso definitivamente dal cielo e vuole essere presente ovunque e per sempre. Lo Spirito, o lo vedi nella carne, o è fiato sprecato, energia inutilizzata, luce che non illumina, fuoco che non brucia e non riscalda, acqua che non scorre. Volete un’immagine potente e chiara dello Spirito? È colui che ha fecondato il grembo di Maria. L’azione più spirituale che esista sulla terra è quella che crea la vita nel grembo di una donna. Nulla è più carnale – nel senso che genera la carne stessa – e nulla è più storicamente verificabile – nel senso che aggiunge una persona, e non un’idea o un fantasma, al numero degli abitanti della terra – eppure è l’azione spirituale per eccellenza, tanto è vero che lo Spirito l’ha compiuta in Maria e ne è derivata la incarnazione di Dio stesso, nella persona di Gesù, ed è l’incarnazione la base della nostra salvezza. Domenica scorsa abbiamo detto che la festa dell’Ascensione richiama direttamente il Natale. Oggi potremmo dire che la solennità di Pentecoste si ricollega a quella dell’Annunciazione, intesa come memoria del momento in cui Maria è fecondata dallo Spirito. Lo Spirito Santo assicura il perpetuarsi di questa fecondità lungo la storia umana. Come ebbe bisogno della carne di Maria, così ha bisogno della nostra. È incarnato perché noi gli offriamo la dimora, gli prestiamo la vita. Ed egli compie le sue meraviglie solo attraverso di noi. Possiamo dunque fare esperienza dello Spirito? Certo, possiamo fare esperienze autenticamente spirituali, che sono tutto tranne che evanescenti. Sono tutte quelle esperienze – Dio voglia che ce ne siano per ciascuno di noi – in cui una forza, una fiducia, una speranza si rendono presenti proprio nei frangenti della nostra vita in cui essa appare, invece, indecifrabile, debole, sfiduciata, disperata. Quella forza, quella fiducia, quella speranza non vengono da noi, eppure stanno dentro di noi. Come è possibile? È l’amore di Dio che continua a prendere carne.