Gesù ha messo la felicità al centro del suo annuncio, ha proclamato le beatitudini. Sembra che la risposta che accomuna il desiderio di tutti gli uomini del mondo, appartenenti a culture e religioni diverse, sia proprio la felicità, eppure il linguaggio delle beatitudini di Gesù non è immediato e non soddisfa a primo acchito quasi nessuno. Che senso ha, infatti, affermare che felici sono i poveri in spirito, quelli che sono nel pianto, i miti, quelli che hanno fame e sete della giustizia, i misericordiosi, i puri di cuore, gli operatori di pace, i perseguitati per la giustizia? I conti non tornano, perché queste categorie appartengono secondo noi al regno dell’infelicità, dell’emarginazione sociale, della fatica, della mancata realizzazione della vita. In che senso Gesù li proclama «beati», allora? C’è chi ha fatto notare, in effetti, che il motivo della loro felicità è espresso con verbi al futuro (tranne la prima e l’ultima beatitudine, in cui c’è il presente): quelli che adesso piangono solo in futuro saranno consolati, quelli che sono miti solo in futuro erediteranno la terra (perché sembra innegabile che, certamente, non la possiedono adesso con la loro mitezza), gli affamati di giustizia saranno saziati solo in un futuro non ben identificabile, e così via. Da qui a concludere che le beatitudini evangeliche sono qualcosa che si realizzerà solo nell’aldilà e che, quindi, non riguardano la vita terrena, il passo è breve. Il messaggio di Gesù – è stato detto – è un messaggio consolatorio, che promette un premio futuro che ribalterà lo stato attuale, quasi a dire: «Porta pazienza adesso, caro cristiano, che poi nell’aldilà sarai premiato!». Purtroppo questa interpretazione delle beatitudini è molto diffusa e abbiamo finito per crederci, cosicché accade che abbiamo accantonato quegli atteggiamenti che Gesù beatifica e abbiamo cominciato a cercare noi, a nostro modo, la felicità qui in terra. Il risultato è… che abbiamo moltiplicato le occasioni di infelicità e di miseria, per noi e per il nostro prossimo, e, forse, siamo riusciti anche a spegnere la speranza. Ovviamente, questo modo di leggere le beatitudini di Gesù è sbagliato. Egli, infatti, parla di una felicità attuale, che è tale però solo se letta nella luce del Vangelo. La povertà in spirito, la mitezza, la misericordia, il lavoro a favore della giustizia e della pace, la purezza di cuore, la fedeltà sino al pianto e alla persecuzione, tutti questi atteggiamenti sono il segreto della vera felicità. Dovremmo dire che, in un certo senso, con le beatitudini Gesù corregge un’idea sbagliata che ci siamo fatti della felicità. Cioè: non dobbiamo partire da un nostro concetto astratto di felicità e poi cercare di riempirlo con quegli atteggiamenti che Gesù beatifica – e così l’operazione proprio non funziona – ma dobbiamo dare un senso alla parola «felicità» con le parole che ci dice Gesù, riempire concretamente il nostro desiderio di felicità con le proposte che ci fa Gesù: essere poveri, miti, puri, misericordiosi, giusti, pacifici.
I santi sono proprio quelle persone, uomini e donne normalissimi in ogni luogo e in ogni tempo, che si sono fidati di Gesù. La vita di Gesù è stata qualcosa di scontato sulla terra? Niente affatto. Gesù ha ribaltato le attese, ha cambiato i connotati dell’immagine di Dio che gli uomini si erano fatta, ha capovolto i valori e, infatti, ha finito i suoi giorni terreni sulla croce. Gesù con la sua vita, con la sua morte e con la sua risurrezione, ha costituito il miracolo più inaspettato: certo, le beatitudini egli le ha vissute sino in fondo e, con lui presente, si poteva vederlo subito che esse erano un miracolo vivente. I santi sono, in un certo senso, la moltiplicazione del miracolo, la riprova che quel miracolo di nome Gesù, seminato e coltivato nella storia da Dio, continua ad essere possibile, con mille mutazioni e con forme ogni volta differenti e nuove. Cambiano i tempi, i luoghi, le manifestazioni, ma resta inalterato il quadro di riferimento, che continua ad essere quello, sempre scandaloso e apparentemente inattuabile, delle beatitudini. Le regole della santità sono sempre quelle, e la santità resta difficile, ma comunque possibile, solo a patto di crederci veramente, e di intraprendere il cammino sulle orme di Gesù. E anche la speranza è sempre accesa, perché la santità non è una proposta per pochi, ma è il dono che Dio fa ad una moltitudine immensa…
Chissà quando certe persone si decideranno con fermezza a condurre una vita limpida? Grazie.