Giobbe è stato provato da disgrazie che si sono susseguite una dopo l’altra nella sua vita. Si trova in una condizione di estrema sofferenza. Gli amici cercano di consolarlo, ma pronunciano parole che egli non può accettare. Giobbe si trova posto di fronte al mistero inestricabile di Dio e, insieme, al mistero di se stesso. E, così, prorompe in quella che può essere considerata una delle massime espressioni della fede nella vita eterna a cui è destinato l’uomo, che troviamo tra le pagine dell’Antico Testamento: «Io so che il mio redentore è vivo… io stesso vedrò Dio». Da cristiani leggiamo queste parole, individuando in quel redentore la persona di Gesù Cristo. E possiamo correggere Giobbe, il quale si augurava di poter vedere Dio senza la sua carne. Il Cristo risorto, vero redentore, ci assicura invece che lo vedremo con la nostra carne. La vita eterna non è una passeggiata tra fantasmi della vita passata, una specie di museo della storia in cui l’uomo disincarnato contempla il Dio che sta sulla nuvoletta. Al centro del messaggio cristiano c’è Gesù Cristo: la vita è seguirne le orme – è il cammino della santità – e l’eternità non è contemplarlo da lontano, ma incontrarlo… con la mia carne. So bene che questa prospettiva è accettabile solo nella fede in Lui, in Gesù. Ed è questa fede che la Chiesa ci invita a rafforzare e a celebrare in questo giorno dei Morti che è, in verità, giorno dei Vivi. Giobbe avrebbe voluto incontrarsi con Dio ed esprimeva la speranza di farlo non in questa vita, ma nell’altra, dopo che si fosse liberato dal suo corpo. Gesù Cristo – colui che egli profetizzava come redentore, salvatore – ha ribaltato questo desiderio: ha preso lui la nostra carne umana, così che con la nostra carne possiamo entrare nella sua vita. Questo mistero è davvero grande, e lo sentiamo vicino e quasi comprensibile solo nelle parole di Gesù: «Questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato». La certezza di non andare perduti, di non finire nel nulla, sta tutta nelle mani di Colui a cui siamo stati affidati.
I nostri cari che non sono più in mezzo a noi, quindi, non sono morti, ma nella commemorazione di oggi sono chiamati «defunti»: si sono cioè liberati dai loro impegni – questo significa lo strano verbo defungere – hanno raggiunto il loro compimento, e noi abbiamo la certezza che non sono andati perduti, che sono in Dio. In un mondo come il nostro in cui anche la morte è mostrata come spettacolo, non di rado macabro, per nutrire il divertimento delle masse, la realtà del morire viene invece sottratta alla riflessione, degli adulti e dei ragazzi, quasi si trattasse di una sciagura e non, invece, dell’esito – certo, anche se imprevedibile – della vita terrena. In questo contesto, la Chiesa trova il coraggio ogni anno di mostrare uno spettacolo diverso e di offrire una riflessione carica di un significato nuovo. Noi cristiani siamo chiamati ad essere depositari di questo messaggio, che educa lo sguardo: non quello di dolore e disperazione rivolto al passato, ma quello di speranza e desiderio rivolto al futuro. La vita è una sola, ci insegna Gesù, e la morte non sta in fondo, ma in mezzo, quasi a segnare un passaggio, una nascita. Oggi è una celebrazione pasquale di morte e risurrezione, una celebrazione segnata dalla serenità cristiana, che siamo chiamati a seminare nel nostro cuore e a diffondere nella società in cui viviamo. La festa dei Santi e la commemorazione dei Defunti sono due versanti dell’unico mistero, sono due sentieri che ci conducono al medesimo traguardo: tra i defunti si nascondono tanti santi che solo noi abbiamo conosciuto nella loro fedeltà e nella loro fatica, ma vi sono pure uomini e donne che non hanno creduto o che hanno condotto una vita lontana da Dio e ostile alla Chiesa. Noi sappiamo che il Signore Gesù ha ricevuto dal Padre anche loro, e anch’essi non sono andati perduti. Questa convinzione sostiene la nostra preghiera per i defunti, che ha un grande significato per noi che continuiamo a camminare nella vita terrena. È bello ricordarli tutti nella celebrazione dell’Eucaristia, che rappresenta già ora l’anticipo del paradiso: rendendo presente in questa Messa il Cristo risorto e vivo, siamo sicuri di raggiungere anche i nostri cari defunti che in Lui vivono.
Grazie per quello che ha scritto: un argomento delicato trattato in maniera squisita che mi ha fatto capire tante cose. Io abbinavo i “defunti” alle anime sante del purgatorio e ricordavo queste ultime nelle mie preghiere, pensandole lontane. Col passare degli anni mi sono sentita dire che le anime del purgatorio andavano trattate come delle buone amiche…..Allo stesso modo anche i Santi sono buoni amici ! Ogni giorno posso ricordare i defunti nelle mie preghiere per dovere di carità o tenerli presenti nei miei sacrifici, e così è un semplice modo di festeggiarli.