Ventisettesima Domenica del Tempo Ordinario. Quanto è prezioso il servizio… inutile!

Quando ascolto le parole finali di questa pagina evangelica – «Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”» – avverto sempre un po’ di fastidio per l’uso di quell’aggettivo che mi pare irrispettoso. Come, “inutile”? A che servo, se sono inutile?Qui gioca non poco la nostra mentalità utilitaristica, che ha estromesso le cose inutili da quelle che hanno un valore: se una cosa è utile – a me, alla mia famiglia, ai miei amici – allora sono disposto a farla, ma se è inutile, allora tanto vale non perderci tempo. Potremmo fare molti esempi delle cose giudicate inutili e che, quindi, non si fanno o si fanno raramente. Un incontro di preghiera è inutile, o sicuramente meno utile di un gesto di solidarietà concreta. Mi capita spesso di sentirmi rivolgere una obiezione a cui non è facile rispondere, perché s’intuisce la mentalità utilitaristica che la sostiene: «A che serve dire il rosario, bisogna rimboccarsi le maniche ed agire…». Certo che bisogna agire, ma è difficile comprendere – per un cristiano! – che pregare è una forma sublime di azione? Pregare è affidare all’Onnipotente il contenuto dei nostri desideri e le intenzioni che ci stanno a cuore: quale azione è più utile di questa? Di solito, con questo argomento non convinco affatto il mio interlocutore. In effetti, è la mentalità che deve cambiare, altrimenti, se si resta schiavi delle categorie “utile – inutile”, sarà difficile non provare fastidio per le parole di Gesù. Bisogna necessariamente superare questo schema: il mondo non si divide tra cose utili e cose inutili, le prime da farsi e le altre da scartare. Anzi, spesso le cose inutili sono decisive per la vita, le danno un sapore, un senso: non riempiono lo stomaco ma il cuore. Ricordo che, quando studiavo filosofia in università, a chi mi domandava a che cosa mi sarebbe servito quello studio nella vita di tutti i giorni, che lavoro avrei trovato dopo la laurea o cose simili, rispondevo con una filastrocca: «La filosofia è quella cosa, con la quale o senza la quale, tutta resta tale e quale». Ma allora non serve a niente, mi si rispondeva. Sì, è inutile – dicevo – ma proprio per questo è sommamente importante per vivere. È stato così.

Tornando alle parole di Gesù, esse descrivono perfettamente l’umiltà e la povertà della Chiesa (su cui tanto insiste anche papa Francesco). Gesù ci invita a sentirci «servi inutili», ma solo dopo aver fatto tutto quello che ci è stato ordinato. È dopo averlo fatto che bisogna dire: sono inutile. Dirlo prima potrebbe essere una scusa per non farlo. Invece, bisogna prima farlo e farlo perché ce lo ha ordinato Gesù, e poi sentirsi liberi dal vederne subito un esito o un frutto, che non dipende più soltanto da noi. La povertà consiste nel fidarsi di Dio, il quale agisce dentro il granello di senape che noi abbiamo seminato nel terreno della nostra vita. L’umiltà consiste nel sentirsi ancora servi – e quindi pronti a continuare a fare quanto ci verrà richiesto – anche se consapevoli di essere inutili, cioè semplicemente servi, come tessere di un mosaico che un Altro mette insieme per formare la bellezza di un quadro unitario.

Maria ha accettato questo: essere serva inutile e fare quanto Dio le chiedeva. Noi la veneriamo «regina del cielo e della terra» (così la contempliamo nel quinto mistero glorioso del rosario), ma ella lo è diventata facendo la serva inutile. Una mamma non è, per definizione, una serva inutile? Chi le assicura che quanto farà per i propri figli sarà ricambiato o raggiungerà l’esito desiderato? A quali delusioni andrà incontro? Non lo sa, eppure continua a fare. Anche per Maria è stato così: quel figlio – insieme suo e non suo – ha preso una strada inaspettata e lei, la madre, ha dovuto diventare discepola del figlio.

Anche noi dovremmo ascoltare le parole di Gesù e imitare l’esempio di Maria nel nostro essere comunità cristiana che continua il suo cammino. Ciascuno e tutti insieme dobbiamo cominciare con il fare fedelmente quanto ci viene richiesto, nella logica del servo inutile. Se mi metto a disquisire sull’utile e sull’inutile, finisco con il non servire alla Chiesa e con l’essere utile solo alle mie quattro idee ben confuse. Lasciamo che Dio renda santa la nostra parrocchia con i tempi e le modalità che vorrà: noi prestiamogli il nostro «inutile» servizio.

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