La solennità dell’Epifania è davvero un secondo Natale: la scena è la stessa, ma è come se il palcoscenico fosse diventato immensamente più grande. Ai pastori, che se ne sono tornati al loro lavoro, si sostituiscono i Magi, e questi personaggi venuti da oriente rendono ancora più universale la nascita di Gesù, che già a Natale era stata messa nella cornice già vasta dell’impero romano. Quel segno piccolo parla davvero a tutti gli uomini. Si direbbe che si lascia annunciare dall’angelo (ai pastori) e dalla stella (ai Magi), e la sua nascita è già vaticinata dalle Scritture e ha potuto muovere anche persone che non appartenevano all’attesa del popolo ebreo. Eppure, tutti questi segni non sono esaustivi, non bastano: bisogna uscire da se stessi e arrivare davanti al Segno piccolo di Betlemme, adorarlo e da lì ripartire. Da questo punto di vista i Magi sono i personaggi natalizi per eccellenza. Sono uomini lontani, eppure diventano vicini, proprio mentre i vicini – Erode e tutta Gerusalemme – si allontanano, anche solo stando fermi nel loro egoistico turbamento. I Magi sono sapienti perché sanno andare al di là di se stessi. Benedetto XVI – nel suo libro sull’infanzia di Gesù – li ha posti «al seguito di Abramo» e «al seguito di Socrate», come a condensare in loro la ricerca religiosa che s’unisce alla ricerca filosofica. Ma l’essenziale della sapienza dei Magi è proprio il coraggio di andare al di là di sé, quel coraggio che Erode non sa trovare: il re manda i Magi, ma non va, resta chiuso in se stesso, e, anche quando dovrà eliminare Gesù, non andrà di persona ma manderà altri a compiere la strage. Erode rappresenta perfettamente il relativismo, che è la cifra del mondo e che allontana da Gesù, luce del mondo. Erode è l’esemplare del «tutto intorno a me», ovvero di quell’atteggiamento assai diffuso che taglia alla radice la possibilità di compiere il viaggio verso Dio. Egli si preclude così la visione del Segno piccolo, l’unico che cambia la vita, così come cambia la strada dei Magi che fanno ritorno al loro paese. I Magi erano partiti da oriente, inviati da una stella, da un segno celeste che essi avevano interpretato. A Gerusalemme avrebbero potuto diventare inviati di Erode, che subdolamente li mandava in avanscoperta. Invece divennero inviati di Gesù, mandati da Lui, suoi primi apostoli in oriente: la luce della stella, esaurito il suo compito, sorretta e come completata dalla luce delle Scritture, si era trasferita nell’autore stesso della luce, ed è solo quella Luce che ha la forza di cambiare il corso di un’esistenza. Bellissima la notazione di Matteo, il quale scrive che la stella «si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino». Capite? «Si fermò». La stella aveva finito il suo viaggio, mentre cominciava proprio da quel luogo la vera avventura dei Magi, cercatori di Dio che lo avevano trovato o, forse meglio, erano stati da Lui trovati.
Credo che questa dinamica dei Magi possa e debba essere anche la nostra. Anche noi dobbiamo continuamente sentirci inviati da tanti segni presenti nella nostra vita a intraprendere un cammino di sapienza e di ricerca. Sono tante le stelle, magari più terrene e meno eclatanti di quella apparsa nel cielo dei Magi. Anche un dolore, un distacco, un avvenimento inatteso o una piccola impercettibile luce possono essere segni da trasformare in segnali. Dobbiamo trovare il coraggio di partire e di ripartire sempre con rinnovato slancio, senza lasciarci definire dall’apparente e prepotente stato delle cose. Ricordiamoci che le stelle – anche quelle terrene – sono al servizio di Dio, e non Dio al servizio delle stelle. Esse si fermano, Dio mette perennemente in movimento. Si può essere inviati da una qualche stella e provarne «una gioia grandissima», ma poi essa si dimostra veramente luminosa se sa condurci alla Luce. E qui, anche noi dobbiamo imparare la prudenza dei Magi, che accettano di diventare apostoli solo di Gesù, la Luce del Segno piccolo, e non di Erode, il fragile segno potente. Purtroppo, quando le stelle momentaneamente si spengono, il rischio che si accenda la lusinga del potere, dell’egoismo, dell’invidia, dell’arroganza, della superbia, è un rischio forte. Diventare inviati di questo fragile potere umano è una falsa missione. Bisogna arrivare davanti a Lui, e ripartire nella novità che Lui solo sa dare alle nostre missioni.