QUINTA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – Anno C

Che cosa significa «prendere il largo»? Per uno che sta su una barca, significa allontanarsi dalla sicurezza della riva, dove però rischia di esserci anche il fastidio della folla, con quella tipica oppressione delle convenzioni che limitano la libertà.
Quindi, anche il mare aperto può essere un luogo dove si sta più sicuri che sulla terraferma. L’espressione latina con cui è stato tradotto l’invito di Gesù a Simon Pietro va proprio in questa direzione. Suona così: «Duc in altum». Nell’allontanarsi dalla riva c’è un andare in alto, che è prima di tutto un andare nel profondo. Ecco, la vera sicurezza non sta in una superficialità di massa – oggi così facile da trovare e così rischiosa per il nostro equilibrio – ma in una profondità interiore, in questo «altum» che ti avvicina al cuore dell’altro proprio mentre sembra che te ne allontani fisicamente.
Pare che Gesù voglia staccare Simon Pietro dalle sue certezze di pescatore esperto, che è stato al largo per tutta la notte senza prendere nemmeno un minuscolo pesce, per farlo diventare proprio un pescatore di uomini, un esperto in umanità cioè. La chiamata di Gesù è quanto di più lontano vi sia dal mestiere del calcolatore di terra, un seminatore di semi in solchi ben tracciati. Bello, sicuro, preciso. No, qui si va al largo, ci si affida alla liquidità dell’acqua con la sola fragile stabilità di una barca che galleggia. Altro che solchi, qui ci sono onde! La vita del discepolo è vita di pescatore, è immersione di reti in un mondo acquatico in cui il raccolto non è assicurato.
La storia della Chiesa è lì a dimostrare che quella di Gesù è una missione molto liquida, che non deve perdere di vista la passione per tutto ciò che è umano. Anzi, tutte le volte che è diventata troppo solida e ha ricercato la sicurezza di una sponda su cui mettere i piedi per terra, si è trasformata in una solenne smentita del Vangelo. Per la Chiesa, quella della barca in mezzo al mare, non è una immagine pittoresca, ma è una realtà. E forse ce lo siamo dimenticati e abbiamo ingessato lo slancio di Pietro dentro una struttura. Torniamo ad essere «soci di Simone», il pescatore.
Molto vero. Le certezze ci vengono da una profonda, fedele frequentazione di Gesù: sono la nostra casa, il nostro nutrimento ma non possono divenire pretesto per allontanarci da coloro che non sanno o non possono condividerle. La profondità ci permette di incontrare tutte le infelicità, i dubbi, le esitazioni dell’uomo. Non sulla terra ferma, ma nella mobilità del mare. Siamo sulla stessa barca; l’avere un’ ancora non ci esime dal soffrire il mal di mare. Mi piace quando Gesù dice a Pietro : ti farò pescatore di uomini. Non pretende di cambiarlo, lo prende nel suo essere pescatore, lo accetta così com’è, gli offre – però – uno scopo nuovo, un orizzonte diverso; non più il lago abituale, ma il grande oceano oscuro in cui si affannano gli uomini.
Scrive don Agostino: “Ecco, la vera sicurezza non sta in una superficialità di massa – oggi così facile da trovare e così rischiosa per il nostro equilibrio – ma in una profondità interiore”. La profondità va ricercata con lo sguardo interiore che permette di incontrare le nostre fragilità, i dubbi, le esitazioni e di avvicinarci al cuore degli altri, anche se fisicamente lontani. La pandemia in corso può non farci cadere nella superficialità di massa, evitando così di ingessare lo slancio apostolico in una struttura consuetudinaria. Avviamoci nella barca in mezzo al mare, impariamo dalla nostra fragilità, che il virus ha evidenziato drammaticamente, per essere davvero “soci di Simone”.