Appartenere al buon pastore

QUARTA DOMENICA DI PASQUA – Anno B

Foto di Gerd Altmann da Pixabay

Ci sono tre personaggi nella storia che abbiamo ascoltato: il pastore, il mercenario, il lupo. A cui si aggiunge una sorta di personaggio collettivo: il gregge delle pecore. L’immagine è tra le più famose del Vangelo, ma è alquanto lontana dalla nostra mentalità. Non solo perché essa non fa parte del nostro panorama usuale. Ma soprattutto perché l’idea di essere paragonati ad un gregge docile e indistinto che appartiene ad un pastore non piace alla concezione individualista di cui siamo imbevuti.

Se non finiamo con il contemplare l’icona del pastore che si tiene sulle spalle una pecorella, icona che ancora ci commuove, accogliamo questa storia delle pecore e del pastore con una buona dose di sufficienza se non proprio di fastidio. Ma la verità, amara fin quanto si vuole, è che la vita non va nella direzione delle nostre decisioni (e da un anno a questa parte lo stiamo tragicamente sperimentando). Noi crediamo di essere padroni della nostra vita e in effetti operiamo scelte sempre più ispirate al nostro interesse, e siamo fieri di non appartenere a niente e a nessuno se non alla nostra libertà.

Crediamo, ma nella realtà i lupi sono in circolazione più di prima e, proprio mentre cerchiamo di liberarci dalla cura del pastore, finiamo con l’essere abbindolati da decine di mercenari che ci fanno credere quello che vogliono. Il mercenario va d’accordo con il lupo, perché al mercenario non importa delle pecore mentre al lupo importa eccome delle pecore: uno si disinteressa di quelle pecore che non gli appartengono e fa il gioco di quell’altro a cui le pecore interessano ma per mangiarsele!

La cosa che resta ferma e certa e che costituisce il messaggio del vangelo odierno è una sola: noi apparteniamo a Gesù, buon pastore, né lupo né mercenario. Gli apparteniamo anche nell’atto di volergli sfuggire. E, stiamone certi, verrà a cercarci. Però, dobbiamo anche ricrederci sul nostro fastidio ad essere gregge di pecore. Appartenere tutti insieme a qualcuno non va contro la nostra libertà, anzi ci offre un recinto, ovvero uno spazio reale per poter vivere insieme proprio la nostra libertà di pascolare.

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2 thoughts on “Appartenere al buon pastore

  1. È gratificante fare parte del gregge di Gesù, ci si può permettere il lusso di dimenticarsi per strada, sicuri che ci verrà a cercare e ci riporterà al sicuro. Abbiamo la certezza( anche se pecore insignificanti) di essere “uniche” ai suoi occhi. Ci conta e ci conosce. Per ciascuna ha uno sguardo e una carezza speciali. Il buon pastore non si fida dei mercenari e del lupo, ma si fida di noi: ci lascia nel recinto mentre va in cerca della pecora distratta o disubbidienti. Senza gelosia sappiamo che se è (sembra) lontano, di sicuro lo avremo vicino al momento giusto.

  2. “Però dobbiamo anche ricrederci sul nostro fastidio ad essere gregge di pecore. Appartenere tutti insieme a qualcuno non va contro la nostra libertà,” scrive don Agostino. In questo tempo di terribile pandemia ci accorgiamo che la vita non va nella direzione delle nostre decisioni individuali e forse in alcuni momenti non ci da neppure più fastidio l’essere come un gregge. Quando siamo in fila per la vaccinazione e siamo accolti con gentilezza dai volontari della Protezione Civile, dopo l’iniezione stiamo seduti insieme per 15 minuti contenti che tutto sia andato bene e proviamo un senso di sincera solidarietà. (Si va verso l’immunità di gregge…). Per noi cristiani questo è uno dei tanti momenti di vita concreta che ci fanno capire che apparteniamo tutti insieme a qualcuno. Il buon pastore ci offre un recinto di condivisione, ma passata la porta ci lascia la libertà di pascolare…

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