Corriere di Como, 8 dicembre 2020
Sembra che la natura si riprenda le sue libertà. Come in primavera cresceva l’erba tra i cubetti di porfido delle strade della città non calpestate dalle macchine, così ora sui monti nevica in modo esagerato proprio su quelle piste che non saranno per ora percorse con gli sci. Preludio ad un inverno bianco oltre che in bianco? Intanto sappiamo che pioggia e neve fuori misura stanno provocando in diverse parti del Paese notevoli disagi che si aggiungono ai problemi della pandemia. Difficile presagire quel che accadrà.
Sta di fatto che normalmente per il ponte dell’Immacolata, il bianco sulle piste era dipinto a colpi di cannone, con un grande dispendio di acqua perché le macchine che producono la neve non la creano certo dal nulla. Quest’anno, accompagnata da un venticello beffardo, la neve scende copiosa dal cielo e mette in cassa integrazione i cannoni e, purtroppo, non solo loro.
La natura è libera, la cultura è sotto chiave, la politica in panne, l’economia in ginocchio. E Natale si avvicina, con il suo richiamo spontaneo al ritrovarsi, al festeggiare, al consumare gioiosamente insieme. Tutte cose che nel frattempo sono divenute sospette se non pericolose e che sono finite nei famosi Dpcm e nei decreti del Governo nella lista delle procedure o proibite o caldamente sconsigliate. Che il giorno di Natale non si debba uscire dai confini del proprio Comune, che si possa brindare solo tra pochi intimi conviventi, che non ci si debba assembrare insomma, sembra una smentita del Natale. Quasi come un invito a gridare sottovoce, a festeggiare in piedi nell’atrio senza togliersi il cappotto oltre alla mascherina.
Tanti resteranno soli quest’anno, facendoci finalmente accorgere che tanti lo erano sempre stati anche nei Natali scorsi, quelli Covid-free. Una solitudine diffusa, per un Natale sospeso, come il caffè, da lasciare in eredità a chi lo festeggerà, si spera, nel 2021. Eppure per quello del 2020 sembra non esserci alternativa responsabile. I sondaggi dicono che otto italiani su dieci sarebbero d’accordo, pur a malincuore, con le restrizioni imposte dal Governo. Se fosse così – ma i sondaggi vanno presi con le pinze – la percentuale degli obbedienti sarebbe bulgara, quasi cinese. Conviene aspettare, però, perché dire di sì è solo il primo passo: il sì bisogna farlo, e l’arte dell’arrangio con le sue scorciatoie ed i suoi guizzi è una specialità che non va mai in pensione.
Più che essere d’accordo con il Governo, bisogna essere d’accordo con la propria coscienza, senza confonderla con un comodo «secondo me», che con la coscienza ha poco da spartire. Perché la coscienza è il luogo interiore in cui vengo a contatto con l’altro nella luce di una verità che ci riguarda, pur stando fuori da lui e da me. È la coscienza che ci fa compiere atti con il solo scopo del bene comune.
Paradossalmente il tenere il distanziamento sociale – che sembra l’anti-Natale per eccellenza – può essere quest’anno l’occasione per accorciare le distanze proprio con quelle persone che ci sono vicine magari solo per abitudine e che sono finite per così dire nel libro-paga degli affetti in una relazione non più viva in cui troppo è dato per scontato. Natale è rivitalizzare le relazioni, a cominciare da quelle della tua casa.
“Bisogna essere d’accordo con la propria coscienza” scrive l’autore del blog. La coscienza, che a Natale ci fa correttamente evitare il contatto fisico con le persone della comunità, potrebbe porci con loro in un rapporto interiore, silente, ma non meno reale ed efficace. Lo scopo è proprio il “bene comune” in un comportamento “altruistico”, che evita di contagiare anche se inconsapevolmente. Avvertiamo di essere un po’ soli, ma ci accorgiamo dei tanti che lo sono sempre stati, anche negli anni scorsi. Chissà se riusciremo a Natale, stando a casa. a rivitalizzare le relazioni con la moglie, i figli, il vicino di balcone, che a volte finiscono soltanto nell’abitudine e forse anche nel dispetto?
Il più bel Natale che ho avuto (da adulta) fu un giorno da ammalata, obnubilata da febbre oltre 39; sola in casa; i figli e il marito impegnati nel classico pranzo da parenti. Ad occhi chiusi, affondata fra le lenzuola ormai bollenti mi imposi di andare a Betlemme, secondo il suggerimento posto da S. Ignazio ad introduzione dei suoi esercizi: immedesimarsi. Così fui nella stalla, offrii a Maria di riposare mentre io sorvegliavo il bambino. Per tutto il pomeriggio immaginai di tenere quel bimbo divino fra le braccia, Maria addormentata, Giuseppe affaccendato. Mai, per me, ci fu Natale più vero: l’unico – in vita mia- senza Messa e senza pranzo.