Figli che collaborano…

VENTISEIESIMA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – Anno A

«Non ne ho voglia» e «Sì, signore» sono due modi sbagliati di iniziare una obbedienza. Intanto, perché sono parole e l’obbedienza è un fatto. Poi, perché esprimono due sentimenti che con l’obbedienza non hanno nulla da spartire: il menefreghismo e la sudditanza. L’obbediente è un uomo libero, che – come dice l’etimologia – ascolta restando in piedi. Il calcolatore e la marionetta sono persone egoiste. Tra i due figli della parabola farei fatica a scegliere. Me ne verrebbe in mente un altro, un figlio che è descritto mirabilmente nella seconda lettura, il Figlio di Dio obbediente fino al dono della vita.

Ma noi purtroppo assomigliamo ai due figli della parabola, che sono due estremi abbastanza comuni. «Non ne ho voglia» è la negazione del servizio, che è il vero significato del nostro essere cristiani ed è la vera cifra distintiva della Chiesa. Ci sono ripensamenti, ma poi nella vigna del Signore a lavorare trovi persone che non hanno voglia. «Sì, signore» suona bene, ma spesso nasconde un servilismo interessato, e infatti quelli del «Sì, signore» poi non li trovi mai, non hanno tempo o spariscono in fretta dalla circolazione.

È salutare allora che ci ricordiamo l’essenza della nostra collaborazione per la vita delle nostre comunità cristiane, minate continuamente dalla delusione, dalla stanchezza e dagli individualismi, ma segnate anche dalla squisita gratuità di persone umili e disponibili. La Chiesa è strutturata ma non è una azienda, svolge mansioni differenti ma non è un ufficio. Ciò che è piccolo vale (dovrebbe valere, ma non è sempre così) più di ciò che è grande. Collaborare significa soffrire insieme per il medesimo scopo e questo scopo non è esserci per fare le mie cose od organizzare iniziative. Tutto nella Chiesa è finalizzato a mettere le persone in relazione tra di loro e soprattutto a metterle in relazione con Gesù Cristo. Uno è un buon cristiano non perché è attaccato alla sottana del prete e ne diventa il fedele servitore, ma se vive la sua vocazione familiare con silenziosa dedizione, e magari trova anche il tempo per animare la vita della comunità.

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2 thoughts on “Figli che collaborano…

  1. La vita cristiana si manifesta a partire dal perfetto sì di Gesù al Padre. L’Eucaristia è la concreta attualizzazione di questo sì. Noi possiamo dirci cristiani – cioè famigliari di Gesù – se non ci limitiamo ad “andare a Messa”, ma facciamo di tutta la nostra vita una Messa.

  2. Nelle piccole comunità cristiane sono poche le persone che peccano di individualismo o servilismo; prevalgono le persone umili e disponibili, che vivono la loro vocazione familiare e il loro impegno lavorativo con dedizione e in silenzio; queste persone trovano anche il tempo per collaborare nella comunità, ponendosi in relazione tra loro e con Gesù, soffrendo insieme per il comune scopo cristiano. Nelle grandi comunità, dettate dalla attuale carenza di sacerdoti, le persone umili e disponibili rimangono più in ombra, non vengono chiamate a fare parte delle molte e forse troppe commissioni e rischiano di essere emarginate. Eppure sono proprio loro che tengono viva la vigna del Signore!

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