Corriere di Como, 14 aprile 2020
Che è successo alle altre notizie? Sembra che nel mondo ce ne sia ormai una sola in una sorta di pandemia comunicativa, e che non succeda nient’altro. Un fatto non comunicato quasi non esiste, lo sappiamo bene. E questa legge è tragicamente all’origine anche della diffusione del Covid-19, dovuta proprio alla censura cinese che, per qualche settimana, ha permesso al coronavirus di prendere l’aereo e di atterrare ovunque. Nel mondo, più o meno in ritardo, tutti i Paesi hanno dovuto prendere coscienza che non potevano pretendere di essere l’isola felice dell’immunità al virus, e questo spiega perché ormai non si parli d’altro. Ma sta succedendo qualcos’altro oltre alla pandemia? E quello che stava succedendo prima quale evoluzione ha avuto? I quotidiani non ne parlano che in qualche ritaglio ben nascosto nelle pagine interne. I telegiornali sono diventati mono-notiziari ad argomento unico.
La caduta di un ponte tra Toscana e Liguria, ad esempio, è un fatto che ha occupato le cronache per un giorno soltanto, e anche in questo caso la notizia è stata che le limitazioni al traffico dovute alla pandemia hanno evitato che su quel viadotto nel momento del crollo passassero molti veicoli. La civiltà della comunicazione è in tilt come le terapie intensive: la gente vuole conoscere, sapere, vedere, analizzare solo ciò che la sta mettendo in ansia, e mai la globalizzazione ha avuto un simile successo, perché lo stesso fatto sta effettivamente accadendo in tutto il mondo e la notizia è davvero una sola anche se la sua risonanza è molteplice.
Intanto, bisogna riconoscere che del contagio Covid-19 in alcune parti del mondo – soprattutto in Africa e in America latina – sappiamo molto poco anche se questo non significa che il fatto non sussista: è solo una conferma che chi non aveva voce prima continua a non averne. Ci sono poi le guerre e si direbbe che, visto che non se ne parla più, esse si siano fermate, il che, se fosse vero, sarebbe un risultato che il coronavirus ha raggiunto laddove la diplomazia aveva fallito. Ma forse è vero soltanto che non abbiamo più notizie sulle guerre e, anzi, c’è chi sta ringraziando il coronavirus perché gli permette di continuare a farle in santa pace (mi si perdoni il gioco di parole).
Ad esempio, i combattimenti attorno a Tripoli e a Sirte sono stati molto intensi nelle ultime settimane e il maresciallo Haftar continua la sua offensiva in una Libia che fino a pochi giorni fa dichiarava un solo morto per coronavirus e una quindicina di positivi al tampone. La Turchia di Erdogan, che aveva trasportato migliaia di profughi sulla frontiera con la Grecia per mettere sotto pressione l’Europa, ora con gli stessi autobus li ha riportati indietro nei campi all’interno del Paese per la quarantena. Intanto il presidente Assad, forte dell’appoggio di Putin, continua nel silenzio la sua offensiva nel nord della Siria. E così in Iraq, in Iran, nel Sahel, in Yemen, in Afghanistan e in altri teatri di guerra nel mondo. Tutti assenti dalla scaletta dell’informazione monopolizzata dalla pandemia, anche se, a onor del vero, nemmeno prima godessero sempre della giusta attenzione.
La speranza è che, una volta scalzato il coronavirus dai polmoni dell’umanità e dalla ribalta della comunicazione, tutto non torni come prima.