Corriere di Como, 31 dicembre 2019
Una settimana dopo Natale puntuale arriva Capodanno con il rito della notte dell’ultimo dell’anno. San Silvestro non ha nulla a che fare con i festeggiamenti di questo passaggio da un anno all’altro: che il cenone sia di San Silvestro è pura coincidenza di calendario, dato che papa Silvestro morì a Roma il 31 dicembre 335 (mentre imperatore era Costantino) e la sua festa annuale cade nel giorno della sua nascita al cielo, come del resto è consuetudine nella Chiesa cattolica. Gli antichi romani, usciti dalle festività chiassose in onore del dio Saturno, affidavano al dio Giano l’auspicio di bene per il nuovo anno e lo facevano il primo gennaio in un giorno che era lavorativo, così che inaugurasse un anno proficuo di attività e non troppo ozioso.
Si direbbe che l’antico clima godereccio dei Saturnali, allontanato dal Natale cristiano, si sia rintanato tutto nella notte dell’ultimo dell’anno, con i suoi eccessi e i suoi botti, tanto che poi il primo giorno del nuovo anno è consacrato al riposo, prima che tutto riprenda con i suoi ritmi feriali. La ritualità del passaggio da un anno all’altro è bene espressa dal dio bifronte, Giano appunto, «colui che guarda indietro e avanti, alla fine dell’anno trascorso e all’inizio del prossimo» (Ovidio). Ed è esattamente ciò che anche noi ci ostiniamo a fare ogni Capodanno, pur consapevoli che lo abbiamo già fatto un anno prima e magari non molto è cambiato nell’altalena delle delusioni e delle speranze.
Eppure sembra che a distanza di dodici mesi ci serva una boa per svoltare una nuova consolante ripartenza, e almeno una volta all’anno sia necessario, se non altro in un gesto scaramantico, aprire (e richiudere in fretta) quel cassetto in cui sono depositati tutti i (vecchi) propositi inevasi. Ogni 31 dicembre, mano a mano che passano le ore che ci avvicinano alla mezzanotte, sembra tramutarsi in un film in bianco e nero tutto ciò che abbiamo trascorso dall’ultimo Capodanno. Ed è magica questa metamorfosi, perché invece, mentre quegli eventi ora passati sono stati il nostro presente, essi ci sono apparsi pieni di colori, nelle mille tonalità dalle tinte fosche e scure a quelle luminose e chiare.
Ma quando si tirano le somme, i numeri appaiono diversi su quella riga che sta sotto la sbarretta: sono meno rotondi e magari davanti ad essi spunta all’improvviso un segno meno. Mano a mano che la mezzanotte si avvicina, poi, sembra costarci minor fatica sbarazzarci del passato, come se dovessimo traslocare da una casa all’altra e ci diventasse facile buttare via le cose vecchie. Anche perché sempre più netta si spalanca davanti a noi la prospettiva di un nuovo anno e, se è vero che è pieno di incognite, esso ha però il vantaggio di essere ancora vuoto, come un blocco di plastilina che aspetta d’essere modellato.
L’animo umano cade facilmente nel tranello del futuro, come di un tempo che possiamo plasmare a nostro piacimento. Non è così, e il passato potrebbe istruirci, ma purtroppo… è già finito giù dalla finestra nel rito liberatorio dell’ultimo dell’anno. Basterebbe poco a salvarci da questa illusione. Basterebbe riconoscere che il futuro è un compito. Un compito in classe in cui sul banco non siamo soli, ma siamo in tanti a risolvere insieme lo stesso problema. Brindare a Capodanno è assumersi questa responsabilità.