Colpo di testa 138 / Clima, sul Baradello torneranno le viti

Corriere di Como, 19 novembre 2019

Sembra che l’estate del 1540 in tutta Europa sia stata torrida, e una cronaca dell’epoca parla di un caldo quasi insopportabile: i ghiacciai si ritirarono, incendi divamparono dalla Francia alla Polonia e nella regione vinicola della Francia centrale i grappoli appassirono sulla pianta, tanto da costringere i vignaioli a vendemmiare con diverse settimane di anticipo rispetto agli inizi di ottobre. La raccolta precoce del 1540 è oggi la normalità, a causa del lento e costante innalzamento della temperatura dovuto al cambiamento climatico. Si direbbe che le prime avvisaglie c’erano già state ben cinquecento anni fa!

Nel sedicesimo secolo la coltivazione della vite e la produzione di vino era probabilmente fiorente anche sul lago di Como lungo i pendii del primo bacino, e lo fu sino all’Ottocento, quando si affermò sempre più la coltura del gelso per allevare i bachi da seta (prodotto su cui l’economia lariana ha costruito poi la sua fortuna). Una storia lunga e affascinante quella della coltivazione della vite e del vino. Vicino a Tblisi in Georgia, alcuni scavi archeologici hanno permesso di far risalire a 8mila anni fa gli esordi della viticoltura: i contadini dell’età della pietra producevano già vino.

Ora, da qualche anno l’enologia è ritornata nel territorio lariano, con un consorzio e un marchio a indicazione geografica tipica (IGT) – Terre Lariane – di cui fa parte anche una azienda che si trova alle porte della città, a Montano Lucino, con due ettari vitati, oltre ad una significativa produzione in Altolago.  Non solo. La viticoltura in Europa si è trasferita sempre più a nord, dove, proprio a causa dell’innalzamento della temperatura, si sono create le condizioni favorevoli per la coltivazione intensiva della vite: tra boschi di pini e betulle anche in Svezia si produce e si vende vino.

Già qualche studio prevede che entro il 2050 diminuiranno le superfici adatte alla coltivazione della vite in alcune zone a tradizionale vocazione vitivinicola e le condizioni idonee si creeranno invece laddove in passato faceva troppo freddo per coltivare la vite. Le previsioni a lunga gittata vanno prese con le pinze e, onestamente, in queste settimane così piovose, sentire affermare che si va verso una forte riduzione delle precipitazioni fa storcere il naso a più di una persona. Ma bisogna anche riconoscere che qualcosa nell’equilibrio del clima è cambiato, e le previsioni a lungo termine non si possono certo fare guardando fuori dalla finestra.

Il clima, insieme al vitigno e al terreno, sono le componenti fondamentali che contribuiscono a dare al vino le sue caratteristiche peculiari e, in un certo senso, la sua originalità. Prevedere che la mappa della viticoltura si sposterà decisamente verso nord è forse eccessivo, ma il cambiamento climatico avrà qualcosa da dire sul futuro del vino.

Magari anche con un ritorno al passato. La descrizione che la “Corografia d’Italia” del Rampoldi nel 1832 faceva del Baradello è per noi oggi irriconoscibile: «Le rovine di questo castello formano il ricovero degli allocchi e dei gufi; i dintorni però presentano allegre colline, coltivate con viti, abbellite da signorili ville con ameni giardini». Ora che i bachi da seta sono migrati in Oriente, chissà, magari a Como torneranno le viti!

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