DOMENICA DI PENTECOSTE – Anno C
Chi è lo Spirito Santo? È la terza persona della Santissima Trinità. Rispondiamo così in forza di qualche rimasuglio di catechismo. Ma questa risposta che cosa lascia in noi della presenza dello Spirito Santo? Siamo onesti: nulla. Lo Spirito Santo è un illustre sconosciuto per la maggior parte dei cristiani. La Bibbia, sia nelle pagine dell’Antico che del Nuovo Testamento, ci trasmette tante immagini dello Spirito di Dio come di una forza, di un dono. E noi rischiamo subito di trattarlo come una «cosa». Mentre Egli è semplicemente Dio. Non un Dio altissimo e lontano, però, ma un Dio che permane nella sua sovrana libertà dopo essersi incarnato. Lo Spirito Santo è ancora tutto nell’ottica di un Dio incarnato, non più incontrabile fisicamente certo, ma presente con una forza ed una universalità che sarebbero impensabili per un uomo delimitato da una presenza fisica. La Pentecoste, dunque, completa e porta a perfezione l’Incarnazione, mettendoci a contatto con il Dio unico che ha calcato la nostra terra nella pienezza dei tempi.
Chi è lo Spirito Santo? È Gesù Cristo ovunque, che vuole raggiungere ogni uomo attraverso la nostra carne, prendendo dimora in noi, viaggiando con i nostri cuori, con i nostri piedi e le nostre mani. Lo Spirito Santo è tutto tranne che evanescenza. È Dio che vuole avere bisogno di noi e, affinché la nostra testimonianza sia efficace, si fa dono e ci regala i suoi doni.
Si intuisce, allora, il legame strettissimo con l’Eucaristia, che è il vero cantiere che costruisce continuamente la Chiesa in mezzo alla storia degli uomini di ogni luogo e di ogni tempo. Non per nulla, durante la preghiera consacratoria invochiamo proprio lo Spirito Santo a santificare i doni del pane e del vino perché diventino il corpo e il sangue di Cristo – ed è questa la prima «transustanziazione», il primo cambiamento di sostanza – ma, poi, invochiamo ancora lo Spirito perché trasformi noi che facciamo la Comunione in Colui che riceviamo, nel Corpo di Cristo che gli uomini possono ancora oggi incontrare – e questa è la seconda «transustanziazione», più miracolosa ancora della prima, perché strettamente connessa non solo al dono di Dio, alla sua grazia, ma anche alla nostra responsabilità, alla nostra libertà. Lo Spirito Santo, quindi, potrebbe essere paragonato ad un grande allenatore che, però, non sta in panchina, ma guida e rafforza la sua squadra, entrando misteriosamente nel cuore appassionato e nei piedi preziosi di ogni giocatore. La squadra vince se lo Spirito Santo fa sì che «diventiamo in Cristo un solo corpo e un solo spirito» (come chiederemo appunto tra poco nella preghiera eucaristica). La comunità è una cosa che possiamo costruire noi da soli, perché, come dice la parola, mettiamo insieme le nostre unità. La comunione è il miracolo che lo Spirito Santo è disposto a compiere con la nostra comunità creando una vera unione.
Si intuisce, allora, anche il ruolo di Maria, la creatura umana che più di tutte le altre si è messa al servizio di questo progetto dello Spirito Santo. Quando, recitando la preghiera dell’Ave Maria, la chiamiamo «piena di grazia», vogliamo proprio dire che ella è piena di Spirito Santo e dei suoi doni: sapienza, intelletto, consiglio, fortezza, scienza, pietà, timore di Dio. Maria ci insegna a rapportarci nel modo giusto con la presenza dello Spirito Santo: non si tratta di affittargli un piccolo spazio, in un regime di “par condicio” con tutte le altre faccende umane in cui siamo necessariamente invischiati; si tratta invece di lasciare che tutto il tempo sia penetrato dallo Spirito Santo così che egli possa agire nel cuore di tutte le nostre faccende e trasformarle dall’interno.
Lo Spirito Santo non è l’inquilino, ma è l’ospite dolce dell’anima – come lo abbiamo invocato nella Sequenza – e la parola «ospite» è assai significativa perché indica innanzitutto colui che ospita e poi colui che è ospitato. È lo Spirito che ci ospita e ci rende capaci di ospitarlo in noi.