Colpo di testa 120 / Famiglie, ruolo dei genitori e revisionismo pedagogico

Corriere di Como, 11 giugno 2019

Da qualche tempo si assiste ad uno strano revisionismo pedagogico. La crisi della famiglia, del ruolo genitoriale e della stessa natalità viene guardata come una pericolosa china discendente della sicurezza sociale. In una parola, si avverte che la famiglia è l’asse centrale della società, e si vive con preoccupazione la sua estrema fragilità. Il paradosso è che negli ultimi cinquant’anni ci si è esercitati proprio al tiro al bersaglio contro la famiglia, la paternità e la maternità ed il ruolo educativo dei genitori. Bordate continue contro una istituzione vecchia e da superare, avvertita come il caposaldo di un paradigma sociale fondato sul matrimonio come luogo ideale per fare figli e allevarli, a cui contrapporre una icona più confacente ai nuovi spazi creati dalle libertà individuali (divenute presto individualistiche). Non è escluso che la lotta contro la famiglia sia servita per disancorare anche la solidità della religione cristiana e togliere potere reale alla Chiesa cattolica, vista come un ostacolo al nuovo paradigma sociale della libertà degli individui.

Bisogna riconoscere che tale progetto è in buona parte riuscito. Salvo poi accorgersi che, terminata la pars destruens, per realizzare la pars construens si ha bisogno di qualcosa che, guarda caso, assomiglia proprio alla famiglia che si era contribuito a destrutturare. Ecco, allora, il moltiplicarsi di paradossali pianti pedagogici, per richiamare in vita proprio ciò di cui si era appena celebrato il funerale.

So benissimo che non tutto nel modello familiare cosiddetto tradizionale funziona, e, quindi, una fase di ristrutturazione era ed è sempre necessaria. Ma un conto è togliere fondamento alla figura del padre padrone e un altro conto è trovarsi poi in una società senza padri. Un conto è dare dignità alla donna, un altro conto è impoverirne la dimensione della maternità. Insomma, ci si è accorti che, forse, con l’acqua sporca si è buttato via anche il bambino e ora si vorrebbe correre ai ripari.

Nei giorni scorsi mi ha piacevolmente sorpreso leggere sul Corriere della Sera una lunga intervista allo psicoanalista Massimo Ammaniti. Il giornalista Antonio Polito prende spunto da tre recenti vicende di maltrattamento e abusi nei confronti di figli piccoli da parte di genitori in condizioni di grave marginalità sociale: «Padri e madri irascibili e violenti che hanno preso a botte i figli fino a farli morire… solo perché piangevano, si lamentavano, davano fastidio, impedivano il sonno o l’intimità dei genitori». Ed è solo la punta dell’iceberg di uno smarrimento diffuso dei genitori, che si acuisce nella fase delicatissima dell’adolescenza dei figli ma che inizia già con la prima infanzia e con la fase della scolarizzazione.

Ammaniti sottolinea particolarmente l’importanza di famiglie con più di un figlio perché lì è più facile acquisire quella caratteristica cruciale che è la capacità di vedere i punti di vista altrui, altrimenti si alimenta il narcisismo. Così come dice a chiare lettere che i genitori non devono fare la parte degli amiconi dei propri figli, ma devono accettare il ruolo di chi pone delle regole, perché «senza una leadership, neanche la ribellione è possibile». Parole sacrosante che forse, in un recente passato, qualche esperto aveva annacquato in un melenso buonismo educativo.

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