Alternativa secca dopo le Europee…

«Chi ha vinto, chi ha perso» è il giochino più in voga nel giorno successivo alle elezioni. Figurarsi se è moltiplicato per ventotto, quanti sono i Paesi che hanno votato per le elezioni europee. Già il fatto che abbia votato un europeo su due lascia aperto il quesito sulla identità di quel 50 per cento di abitanti del continente a cui l’Europa sembra non interessare proprio. Ma ci sarebbe da disquisire anche sull’europeismo di quelli che hanno votato, avendo in mente magari solo la loro situazione nazionale. E non v’è da meravigliarsi di questa distorsione, perché in effetti l’Europa come unità politica sovranazionale non esiste e, quindi, ciascuno vota pensando a casa sua.

Lo scacchiere del Parlamento europeo s’è complicato, arricchendosi però di nuove presenze, e rosicchiando qualche seggio ai due gruppi più numerosi – Popolari e Socialisti – che, più o meno insieme, hanno governato l’Europa in questi anni e, non senza fatica e qualche accordo, continueranno presumibilmente a governarla. I cambiamenti attesi – soprattutto sul fronte sovranista – non ci sono stati (fatta eccezione per Ungheria, Francia e Italia) e, quindi, a maggior ragione, i risultati delle elezioni europee continuano ad essere letti con la lente dei contesti politici nazionali.

È curioso, ad esempio, un dato incontrovertibile dell’esito elettorale italiano, se non altro perché è la prima volta che accade. I due partiti che da un anno governano nel nostro Paese hanno praticamente salvaguardato la loro maggioranza, ma si sono scambiati le proporzioni: la Lega ha raddoppiato arrivando oltre il 34%, mentre il Movimento 5 Stelle ha dimezzato assestandosi al 17%. Che cosa succederà adesso al famoso «contratto di governo»? Non dimentichiamo che i nuovi numeri elettorali di domenica valgono per mandare parlamentari a Strasburgo, mentre in Parlamento a Roma continuano a sedere deputati e senatori secondo i numeri delle elezioni del 4 marzo 2018, e quindi la Lega del 34% conta 17 e il M5S del 17% conta 32. Ma i rapporti di forza sono cambiati nel consenso del Paese, e i due alleati contendenti devono decidere la strategia per metabolizzare e monetizzare la vittoria (Lega) o la sconfitta (M5S).

Con i numeri in Parlamento altre alleanze non sono praticabili, e i due partiti sono condannati ad una alternativa secca: o continuare un matrimonio forzoso o decidersi per un divorzio oneroso. Se a guidare questa scelta sarà il puntiglio, andremo presto a nuove elezioni politiche. Se prevarrà il calcolo, assisteremo forse ad una seconda luna di miele, ma l’agenda delle priorità del Governo cambierà e il clima dovrà necessariamente svelenire rispetto ai toni degli ultimi due mesi.

Salvini e soprattutto Di Maio saranno puntigliosi o calcolatori? Difficile prevederlo, anche perché un altro fattore sul campo di cui i due leader devono tener conto è sicuramente la nuova onda del Pd allargato di Zingaretti. Da notare che la Lega è divenuta il primo partito in regioni rosse come Emilia Romagna e Umbria e tallona il Pd in Toscana. Ma il voto, lo sappiamo, è un bene estremamente volatile. Quattro anni di buon governo logorerebbero sicuramente chi il potere non ce l’ha. Ma una continua tensione dentro il Governo logorerebbe proprio chi oggi ha vinto le Europee.

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