Corriere di Como, 30 aprile 2019
Il caso di Manduria è davvero un episodio della banalità del male. Di un male stupido, che nella sua apparente inutilità è, però, capace di ferire e di uccidere. Antonio Stano, pensionato di 66 anni, è morto per estrema prostrazione e per colpevole abbandono, prima ancora che per le violenze subite da un branco di bulli, che agiva indisturbato da molti mesi. Spettrale anche la scena del suo funerale, voluto in forma privata dai familiari dell’uomo e celebrato in una chiesa diversa da quella prevista. «Non abbiamo sensi di colpa, nessuno immaginava», ha detto il cugino di Antonio. Difficile crederlo davvero, eppure forse dobbiamo rassegnarci che è così. Un amico, che avrebbe voluto partecipare alle esequie di Antonio, ha detto: «A Manduria ci conosciamo tutti, siamo faccia a faccia ma non ci salutiamo. Siamo un mondo di morti». Una definizione estrema, che paradossalmente potrebbe valere per una qualunque città del nostro mondo civilizzato, «un mondo di morti».
Comunque, vale la pena ricordare che Manduria è una località pugliese in cui un anno fa il consiglio comunale è stato sciolto per infiltrazioni mafiose. Il commissario straordinario Vittorio Saladino ha dichiarato: «Io ho esperienze di commissario in Calabria, Umbria, Campania, Emilia, ma non ho mai visto una situazione di arretratezza e problemi trascurati come quella trovata a Manduria». E ha aggiunto: «Se i bulli invece che con quel pover’uomo se la fossero presa con un cane, ci sarebbe stata la rivolta popolare. E invece tutti zitti». E, in effetti, Antonio Stano, che pure qualche problema lo aveva, era del tutto sconosciuto ai Servizi Sociali del Comune. Anche questo fatto si stenta a crederlo, eppure è un dato drammaticamente reale nei nostri contesti urbani, sempre più segnati dal menefreghismo. Anche se talvolta la colpa non è di chi non segnala o non denuncia, ma di chi non interviene, per paura magari o per mancanza di risorse umane e finanziarie.
Il buco di banalità del male di Manduria è ancora più nero, se consideriamo chi sono i bulli che da tempo molestavano, schernivano e picchiavano il povero pensionato, e che ne hanno magari determinato la morte (sarà l’indagine a stabilire fatti, responsabilità e reati). Sono quattordici ragazzi (di cui dodici minorenni), una banda di violenti in erba, desiderosi solo di riempire il proprio vuoto con la sofferenza di un debole che non poteva reagire. Il procuratore di Taranto, Carlo Maria Capristo, ha già pubblicamente dichiarato in una intervista televisiva che per i responsabili «saranno chieste pene esemplari». Mi domando quali possano essere e quali, poi, effettivamente saranno le pene inflitte a dei minori, colpevoli di un tipico reato di branco.
La madre di uno di questi ragazzi, in lacrime, ha dichiarato ad un quotidiano: «È evidente che io non sono stata capace di fargli capire che cos’è il bene e che cos’è il male». Ecco, prima di ogni pena o forse proprio come pena esemplare, quanto suggerito da questa madre disperata mi pare un consiglio veramente azzeccato. E non sembri pena troppo lieve o tanto facile da raggiungere. Anche perché «che cos’è il bene e che cos’è il male» prima deve saperlo e volerlo riconoscere chi è chiamato ad insegnarlo. E non è una cosa che si capisce solo con la testa, ma che deve essere testimoniata con la vita.
C’è già da leccarsi le dita per il fatto che un genitore ha riconosciuto, quale che ne sia la misura, la propria responsabilità.