Colpo di testa 96 / La fine del mondo e la fine del mese

Corriere di Como, 4 dicembre 2018

«Loro parlano di fine del mondo, ma noi non arriviamo alla fine del mese». Così diceva un gilet jaune, attore anonimo della protesta che sta sconvolgendo la Francia. A dire il vero, a evocare il conflitto tra le esigenze insopprimibili della fine del mese e i progetti ecologisti per evitare la fine del mondo era stato l’ex ministro della transizione ecologica e solidale, Nicolas Hulot, personaggio molto popolare in Francia, secondo il quale il problema non è l’ecologia, ma l’iniquità fiscale in generale. «Bisogna conciliare i problemi da fine del mese con i problemi da fine del mondo», aveva detto in una intervista.

Già, un gran bel proposito, che richiede menti politiche capaci appunto di attuare una transizione che sia attenta ai tempi del pianeta, essendo però solidale con i tempi della vita degli uomini di oggi. Ora, i migliaia di manifestanti che protestano contro il previsto aumento delle accise sui carburanti non credono che il presidente Macron stia facendo la cosa equa e solidale per salvaguardare l’eco-sostenibilità della loro vita, insieme a quella del pianeta.

Evidentemente il problema esiste: come conciliare la salvezza universale con il benessere individuale, la fine del mondo con la fine del mese? Eccoci in trincea, lungo la famosa linea immaginaria del bene comune. Una linea teorica finché viene contemplata nell’iperuranio delle idee nella sua perfezione irrealizzabile, ma che poi si concretizza solo nelle scelte politiche e amministrative. È ovvio che pochi centesimi di aumento della benzina fanno il solletico alle classi abbienti, mentre mettono in ginocchio coloro che sono costretti a limare quotidianamente le spese per arrivare alla fine del mese.

L’invocata equità fiscale è un’altra linea immaginaria, perfetta sino a quando non viene messa sulla carta dentro un preciso provvedimento: questo scontenta sempre qualcuno, per il semplice motivo che è stato fatto proprio per accontentare qualcun altro. Anche la norma dell’aumento delle accise sui carburanti ha una sua logica perversa. La premessa è che, per salvare il pianeta dall’inquinamento, vado a colpire chi inquina usando la macchina. Tutti allo stesso modo? Guardi, egregio presidente, che noi usiamo la macchina per andare a lavorare. Lo so, cari gilets jaunes, e tasso la benzina proprio per questo, perché non ne potete fare a meno, e a me servono introiti sicuri, se voglio attuare le mie politiche ecologiste.

Eppure c’è un drammatico conflitto interiore tra la fine del mese e la fine del mondo, che riguarda tutti, proprio tutti. Il problema non è solo politico e fiscale, ma è innanzitutto umano e filosofico. E pone una domanda che, a suo modo, è profondamente ecologica: in che rapporto sta la mia vita, che non ho scelto e che ho ricevuto in dono, con la mia vita, che scelgo e che di fatto dono ad altri? Si potrebbe rispondere così: c’è qualcosa di insopprimibile nella mia vita, che attinge alla sfera della fine – o meglio del fine – di tutto, ma l’unica concretezza della vita che sta nelle mie mani si dipana nel presente, da qui alla fine del mese. Ed è un presente in cui, però, non posso decidere da solo.

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